rivista anarchica
anno 48 n. 425
maggio 2018


femminismo

Piano o non-Piano

di Monia Ravazzini


Dopo gli interventi di Lucia Bertell e Francesca Palazzi Arduini (“A” 423, marzo) e Silvia Papi (“A” 424, aprile) è ora una compagna del Gruppo anarchico “Germinal” di Trieste a intervenire nel dibattito. Anzi a domandarsi come il dibattito intorno al Piano di Non Una Di Meno possa intersecarsi con quello interno all'anarchismo.


Da più di un anno e mezzo, sull'esempio delle mobilitazioni femministe argentine «Ni una menos», si è sviluppato in Italia un movimento femminista che è stato in grado di riportare i temi riguardanti la violenza sulle donne e la violenza di genere all'ordine del giorno di numerose realtà politiche.
NonUnaDiMeno si presenta il 25 novembre del 2016 con una della più importanti manifestazioni degli ultimi anni dopo la quale dà vita ad un percorso che porterà alla scrittura ed elaborazione di un Piano Femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere. La presenza sul piano locale di NUDM è varia, cambia a seconda delle diverse circostanze territoriali, per questo le caratteristiche dei «nodi» locali possono essere anche molto distanti tra loro.
NUDM è rimasta «movimento», pur cercando una qualche forma di organizzazione nazionale, soprattutto per coordinarsi a livello tecnico nel rispetto di ogni specificità.  Nei movimenti l'autonomia può essere un punto di forza, a discapito però spesso di una chiarezza formale che è invece necessaria se si vuole collaborare tutt* assieme. 
Nella consapevolezza dunque di una serie di limiti - di cui parlerò anche nella parte finale di questo piccolo contributo - vorrei iniziare con il mettere in evidenza alcune caratteristiche del piano teorico in cui si muove NUDM. Caratteristiche che a mio avviso ne fanno una esperienza radicale originale nel panorama italiano.
Tre sono gli elementi su cui vorrei porre l'accento: la critica del binarismo di genere, che porta allo sviluppo di un femminismo che si definisce transfemminista, l'intersezionalità come paradigma da cui partire e da non dimenticare mai nelle varie riflessioni, il metodo assembleare basato sul consenso.
Secondo NUDM la “questione di genere” trae la sua origine proprio dall'imposizione di un modello  che ha nella sua struttura genetica/organizzativa uno schema binario ed eteropatriarcale. Tale modello è basato su una discriminazione fondativa, attraverso cui viene esercitato il dominio di un genere su un altro, ma anche dei due generi su chiunque non si riconosca in quella dicotomia.
«Occorre smascherare la violenza propria dell'imperativo sociale che ingiunge di imporre i soli generi binari - uomo/donna - a sostegno di un eterosessualità obbligatoria. Questa violenza che noi chiamiamo violenza dei generi...». (p.7 Piano)
Per binarismo di genere si intende un sistema nel quale gli individui vengono classificati e identificati attraverso due forme mutualmente esclusive, mascolino e femmineo. Secondo questo sistema di classificazione ognun* deve essere ricondott* a uno e uno solo dei generi possibili, escludendo pertanto tutt* coloro che dalla nascita presentano quelle che vengono per questa stessa ragione considerate «anomalie della natura», a causa della compresenza corporea di organi genitali o strutture cromosomiche di entrambi i sessi, ed anche tutt* coloro che non si riconoscono in queste identità considerandole costruzioni culturali che variano a seconda dei contesti storici o delle latitudini. 
NUDM riconosce in questa imposizione quella che definisce la violenza del genere, una violenza direttamente collegata al sistema patriarcale.
La violenza del genere è strutturale al sistema di dominio, «non è un elemento sporadico» né un «fatto privato», atteggiamento che spesso le varie istituzioni hanno nei confronti di questi episodi. In questo sistema eteropatriarcale sia le donne che le così dette minoranze di genere si trovano in una posizione di subordinazione, di non privilegio, proprio perché subiscono una violenza che produce ingiustizie sociali/economiche e veri e propri atti di disposizione corporale la cui matrice è, appunto, il genere. Il genere visto come una delle basi dell'organizzazione, della strutturazione del sistema.
Alla luce di questo ragionamento il femminismo di NUDM può essere definito transfemminista.

Partire da sé, posizionarsi

NUDM intende tracciare la sua riflessione politica nel solco del pensiero intersezionale. In tal senso, NUDM vuole promuovere analisi e lotte coniugando il principio del «partire da sé», fondamentale per l'elaborazione e la pratica femminista, e le riflessioni e gli studi della «politica del posizionamento», sviluppatisi in primis all'interno dell'attivismo femminista nero americano, elemento teorico indispensabile per non cadere nel tranello della sovradeterminazione e soprattutto dell'approccio coloniale. 
«Partire da sé» significa «posizionarsi», ovvero riconoscere il proprio status nell'ordine del sistema nel quale siamo immerse. Da questo punto di vista la relazione tra donne genera un confronto sempre positivo, a patto che non ci si dimentichi delle altre forze in campo  che noi tutt* subiamo  quali, ad esempio, le condizioni materiali, la classe economica, le condizioni di provenienza geografica e culturale, la normatività corporea, la disabilità, l'orientamento sessuale ed anche il colore della pelle.
Questo, e lo dico senza sensi di colpa perché è un sistema che a mia volta subisco pur combattendolo, significa che la mia condizione e quindi il mio posizionamento di donna bianca occidentale ed etero, oltre che cis ed abile, sarà certamente differente rispetto ad esempio ad una compagna donna la cui pelle è più scura della mia o i cui tratti non corrispondono a quella che viene riconosciuta come “la norma”. Questo tipo di femminismo dunque non è interclassista, ma anzi pone costantemente l'accento su quelle che sono le violenze esercitate e subite, che si intrecciano con altre forme di violenza proprio per le caratteristiche intrinseche al sistema e che generano discriminazioni ed ingiustizie sociali.
Vi è poi la questione del metodo con cui NUDM dovrebbe raggiungere le decisioni collettive e cioè il metodo del consenso. Fino ad ora il percorso ha previsto diversi e scadenzati appuntamenti nazionali in cui si è lavorato in modo assembleare, cercando la sintesi delle posizioni presenti agli incontri.
In un primo momento NUDM ha saputo coagulare realtà molto differenti e distanti del variegato mondo del femminismo italiano e tramite la riflessione collettiva ha cercato di formulare un suo pensiero su questioni complesse, pensiero che si è via via consolidato articolandosi in quelli che sono diventati i vari punti del Piano. È stato un lungo e difficile lavoro che dopo tanto tempo riportava la questione del sessismo nei movimenti e nelle piazze, usando parole di contestazione radicali.


disegno Natascia De Filpo

Il metodo del consenso

Nel corso dei vari incontri plenari, mano a mano che si andava delineando il tipo di femminismo di NUDM, le fila si sono assottigliate, i gruppi hanno preso posizione e alcuni nodi sono venuti al pettine. Questo processo non è stato indolore, ma ha permesso al movimento di definire le sue posizioni, senza cedere alle lusinghe  di quel partito o di quel sindacato o di quell'ambito istituzionale, che avrebbero aperto strade, carriere e finanziamenti in cambio di qualche passo indietro sui principi. 
Detto questo non è sempre stato facile far rispettare il metodo del consenso, da alcuni nodi locali si sono avute richieste di chiarimento sui percorsi decisionali o sui documenti che si producevano, riportando la questione organizzativa al centro del dibattito. Credo che l'attenzione in questo senso sia sempre stata alta anche grazie alla presenza di compagn* che hanno cercato, con i loro interventi, di mettere in luce quelli che erano passaggi un po' oscuri. Non so se queste difficoltà siano da attribuire a qualche volontà di controllo sul percorso o alla mancanza di una struttura organizzativa formale, è vero però che questo fatto ha generato talvolta malumori e incomprensioni.
Attualmente si stanno promuovendo appuntamenti territoriali «parziali», c'è stato un incontro nel nord/ovest, ce ne sarà uno nel nord/est, nel tentativo di sviluppare un lavoro che sia più vero e aderente ai vari «nodi», un tipo di lavoro in cui si abbia maggiore garanzia di una partecipazione diretta su ciò che viene deciso, cosa che in parte  si perde negli appuntamenti nazionali.

Non dobbiamo illuderci

Ma cosa significa «avere un Piano»?
Il Piano sembra essere diventato una specie di patto d'intesa, un patto di adesione, o ancor meglio un manifesto di principi e intenti radicale, ampio, potenzialmente sovvertitore, la cui realizzazione pratica richiederà, credo, un lavoro capillare, molto più lungo e forse più noioso della sua scrittura. L'atto primigenio del raccontarsi ed urlare i propri desiderata è solitamente sempre più interessante, nel senso di frizzante, del lavoro che poi c'è da fare se si vuole sovvertire l'esistente; così è quando si mira non tanto e non solo a piegare le istituzioni, dalla scuola alla sanità ai mezzi di comunicazione di massa, alle nostre ragioni, ma piuttosto a rivoluzionare quella mentalità-cultura e quelle condizioni materiali generate e generanti il sistema di dominio-organizzazione sociale-politica.
Mi chiedo quindi quanto di quello che è contenuto nel Piano sia realizzabile e mi chiedo come possa essere fatto: si deve agire all'interno  dei processi istituzionali? È veramente possibile rivoltarli da dentro? Ci si deve porre fuori, a latere, in parallelo o in antitesi?
Il Piano sembra dire che si devono fare tutte queste cose contemporaneamente. Quello che nella pratica accade, però, è che NUDM ha svolto fino ad ora una funzione importante su un piano mediatico. È chiaro che nel vuoto cosmico in cui ci troviamo oggi queste azioni non sono irrilevanti, ma quello che credo è che non si debba perdere di vista la differenza tra l'enunciazione e l'azione. Non dobbiamo illuderci che non ci sia una differenza tra fare una “striscionata” di denuncia e autogestire una consultoria o anche solo essere presenti in modo significativo all'interno dei consultori; dobbiamo sempre avere presente che una cosa è fare una manifestazione contro i confini e le discriminazioni razziste e altra cosa è cambiare la politica internazionale dei confini e la strisciante e populista mentalità razzista purtroppo sempre più dilagante.
Non so quanto NUDM in quanto tale riuscirà ad essere promotrice in prima persona di queste lotte, ritengo piuttosto che questo movimento possa essere di ispirazione, di orientamento in quei percorsi in cui dovranno essere messe in campo sinergie con varie forze, da quelle sindacali a quelle più specifiche (es: no border, lotte ecologiste, antimilitariste, sull'educazione e la sanità per la casa e gli spazi sociali, ecc).
Il femminismo nella sua prospettiva transfemminista e intersezionale dovrebbe a mio avviso essere parte del nostro bagaglio culturale, una prospettiva specifica, uno strumento tra gli altri e con lo stesso onore e onere degli altri quali l'anticapitalismo, l'antirazzismo, in una prospettiva di critica materiale, politica, culturale, sociale al sistema di dominio. Piano o non Piano.

Monia Ravazzini