A parte l'autogestione
intervista a Nicola Pisu
Dalla Sardegna, la voce e l'impegno di
Nicola Pisu, da anni attivo nel sociale (compresa Emergency),
nostro amico (e di don Gallo). E, per non genuflettersi di fonte
al potere, di Emma Goldman.
Ancora una volta devo seguire il filo rosso-nero che tesse le trame delle storie e dei suoi protagonisti che racconto dalle tele di “A”: con Nicola Pisu, per le cronache ufficiali cantautore, per quelle randagie, invece, viandante dalla parola fertile che le cronache canta, è nata una sorta di complicità “casualmente consapevole” proprio dalle pagine di “A” rivista.
Ci siamo letti e ritrovati in poco tempo, fisicamente nelle terre sarde che entrambi viviamo, ineluttabilmente e concettualmente, nei medesimi sentieri che avevamo battuto per storie simili e parallele. Lontano dalle masse e dai rumori di fondo, dal branco e dalla volgarità e al contempo dentro le pieghe sociali declinate da disagio e determinazione, solitudini e bellezza, poesia e invettiva. E, ovviamente, tra i meandri deandreiani, tra i temi del condiviso progetto “buon compleanno Faber”, tra le figure di Don Gallo, Teresa Sarti, Giuseppe Pinelli (con Claudia Pinelli a scandire il racconto ancora da raccontare del padre e Nicola a “cantastoriare” di “Bombe e fiori” e di Piazza Fontana).
E siccome anche Nicola si tiene lontano da masterizzazioni e mitizzazioni e “firma” con noi il senso del viaggio, “non una cover, non un omaggio e nemmeno un ricordo”, decide, tra le altre, di eseguire “Il pescatore”, perché sa che è un brano svilito a canzonetta, perché sa che è forse il brano più libertario e anarchico di Faber e, soprattutto, perché Nicola, proprio come il pescatore di Fabrizio, non ha bisogno del giudizio per accogliere una persona, fosse anche un ipotetico assassino, ma offre il suo amore e il suo canto, come il pane e il vino del pescatore, poiché le cose le ha già sapute dal mare, dalla storia.
G.F.
Gerry Ferrara - Nicola, che storia è la tua,
mettendo al bando biografie e presentazioni...
Nicola Pisu - A proposito de “Il pescatore”,
quando me la commissionò per lo spettacolo, Don Gallo
confessò essere la sua canzone preferita, perché
De Andrè coniuga il pensiero anarchico e quello cristiano.
E la mia storia la faccio cominciare in quegli anni, quando
con una barca di canzoni già imbastite nei quaderni,
presi a registrarle e a cantarle in pubblico.
Mi ha suscitato molta curiosità la tua esperienza
all'interno del progetto Suoni e rumori popolari, lo sento molto
vicino alle istanze dell'incipit della mia rubrica, raccontaci
la genesi e la contestualizzazione di quel periodo e di quel
linguaggio.
La prima metà degli anni novanta fu per me un periodo
intenso: ci fu il trasferimento dal mio paese di origine a Cagliari,
nella casa dello studente, e l'inizio dei miei studi universitari.
Facevo sentire le prime canzoni ai miei coinquilini e con qualcuno
se ne parlava, approfondendo i testi, i contesti e i riferimenti
politici e culturali. Divenne abitudine che almeno una volta
alla settimana ci si riunisse nella cucina comune per ascoltarle.
Ricordo l'organizzare di un concerto clandestino dei Suoni
e rumori popolari nell'ultimo piano del palazzo, organizzato
eludendo il diniego della direttrice e la sorveglianza di uscieri
e guardie notturne: nel pomeriggio giunse il resto dei SRP,
scaricammo in strada la strumentazione e dal retro dello stabile
si fece un passamano oltre le balaustre dei balconi. Talune
mie canzoni erano note nell'ambiente universitario attraverso
alcune demo in circolazione, così il concerto
fu un successo. Però, il linguaggio era piuttosto giovanile:
cercavamo ancora una nostra identità prendendo a modello
la musica che amavamo.
Alla luce di questo tuo cammino e di questa tua attitudine
al “sentire” il passo dolente e pregno di dignità
dell'umano agire, è stato naturale ed ineluttabile incontrare
Andrea Gallo e il suo pulsare “Angelicamente anarchico”...
Come ti ho detto segnò l'inizio della mia attività
di cantautore. Fui segnalato a Don Gallo da Giancarlo Biffi,
un amico libertario che si occupa di teatro. L'incontro col
prete di marciapiede confermò e fece sedimentare quel
fondo di convinzioni, quel certo modo di vedere e sentire le
cose del mondo, che già mi portavo dentro.
Una delle tue peculiarità è sicuramente
la naturalezza con la quale coniughi la capacità di attingere
dal campo letterario e la sensibilità e l'urgenza di
tenere un occhio vigile e un piede pronto sulla strada. Abacrasta
e dintorni esemplifica il mio concetto...
La letteratura spesso si riversa nelle mie canzoni, tant'è
che la mia poetica ne risulta condizionata. In generale, quando
scrivo capita che navighi nella bruma dei ricordi, oppure che
tragga ispirazione da vicende di cui ho sentito parlare, che
ho letto sul giornale o in un romanzo, o che ordisca di sana
pianta una trama immaginifica. Altre volte c'è dietro
l'urgenza di denunciare qualcosa, di narrare un avvenimento,
così il testo assume connotazioni proprie della canzone
di protesta; ma non è la mia tipicità, a differenza
per esempio del collega Alessio Lega.
Restando in tema, mi sembra opportuno rintracciare
le coordinate del progetto Canzoniere del
‘900 e di conseguenza il fecondo incontro e scambio
con la straordinaria Clara Murtas. Cosa ha rappresentato quel
linguaggio che, teso ancora una volta a svuotare le stanze del
re per riportare al popolo, legittimo proprietario, la coscienza
e il sapere, permetteva anche, attraverso il racconto e il canto
delle vicende politiche nazionali, di fare luce sui misfatti
e i soprusi in terra sarda. Una terra che ancora oggi si nasconde
dietro il velo totemico della cultura identitaria e proprio
per questo è irrimediabilmente saccheggiata dagli sciacalli
del potere e della mercificazione...
L'incontro con Clara Murtas è stato significativo dal
punto di vista umano quanto da quello tecnico: fu lei a darmi
le prime lezioni di canto quando sognavo di fare il cantautore,
ma ancora non riuscivo a gestire la voce. Clara mi ha inoltre
mostrato un mondo che non conoscevo, quello della tradizione
musicale popolare, quel linguaggio del popolo insofferente sopraffatto
dal dominio e contrapposto al potere. Con l'ensemble Canzoniere
del ‘900, portavamo sul palco le canzoni di Giovanna
Marini, Victor Jara, da “Bella ciao” a “Addio
a Lugano”, dalle Mondine a Dylan, dalle insurrezioni del
meridione alla rivolta di Pratobello. Nella scaletta Clara inseriva
sempre anche qualche mia composizione.
|
Nicola Pisu
(Foto di Gigi Cabiddu Brau) |
Girotondo è certamente, tra le tue opere,
un lavoro di ricerca profondo, complesso, articolato, in cui,
in qualche misura, la forza, la dolcezza e la ruvidezza della
tua voce riescono con delicata leggerezza a narrare e cantare
un caleidoscopio di “anime salve”, riuscendo così
a dipanare l'intricata matassa delle periferie umane e svelare
gli angoli remoti delle solitudini vincenti. Raccontaci di questo
affresco e delle tue orazioni contenute in una sorta di breviario
laicamente libertario.
Credo sia il mio album più pensato e impegnato, in quanto
si occupa di problemi politici (nel senso alto del termine)
e sociali. È un disco abbastanza anarchico da poter essere
confuso per cristiano, se si trascura il fatto che sono ateo.
Fra i personaggi c'è molta umanità in cerca di
riscatto, che urla la propria richiesta di aiuto, uniti dal
filo dell'emarginazione, ma un poco più liberi di chi
vive dentro il cerchio-recinto uniformandosi alla massa.
Seguendo il filo rosso-nero del nostro incontro tra
le pagine di “A” e dei tuoi diari custodi di Storie
in forma di canzone, non possiamo fare a meno di parlare
di “Un sogno sul Lungarno” dedicato a Franco Serantini...
Come riporta la nota sul disco, firmata dall'amico Paolo Finzi,
la canzone racconta la storia di Serantini, anarchico, pestato
a sangue dai celerini durante una manifestazione antifascista,
che venne incarcerato e, nonostante l'evidente grave stato di
salute, non venne curato, e lasciato morire in cella a causa
delle gravissime lesioni riportate. Lessi sulle pagine di “A”
quella storia e approfondii la vicenda attraverso la lettura
del libro di Corrado Stajano.
“Io non canto solo per cantare né perché
ho una bella voce, canto perché la chitarra possiede
sentimento e ragione...” declamava Victor Jara nel suo
“Manifiesto”. Che rapporto ha Nicola Pisu con la
sua chitarra quando si tratta di trasformare in canto un pensiero,
quando la vive in un momento di intimità. Che tipo di
complicità serve, invece, quando diventa un veicolo di
trasmissione...
Fortunatamente o sfortunatamente sono lontanissimo da potermi
considerare un veicolo di trasmissione, mi limito a scrivere
canzoni quando arrivano e mai ho pensato di scriverle per ragioni
puramente estetiche, oltretutto la mia chitarra, in queste mani,
non possiede nemmeno troppo sentimento.
Che rapporto hai con la tua Sardegna, terra dalle
forti contraddizioni, terra coltivata da una forte spinta comunitaria
e che allo stesso tempo si fa “inseminare” dal più
feroce e mortifero amante neoliberista, terra ricca di “oasi
e di cattedrali nel deserto” (spesso nel volgere di pochi
metri...), di bellezze sconfinate e di violenze ambientali inaudite,
di testimonianze forti di libero pensiero e di luttuoso appiattimento
culturale. In fondo, stiamo parlando dell'atavica ed eterna
dualità che affligge l'essere umano. Che lettura dai
socialmente e anarchicamente al momento storico che vive la
tua terra.
Permettimi di spostare il ragionamento sul settore artistico:
vige un atteggiamento definito “colonizzazione culturale”,
secondo il quale ciò che nasce qui non ha pari dignità
di ciò che arriva da fuori. A pagare le conseguenze sono
le produzioni indipendenti sarde e, nel mio caso, si spiegano
così le tante recensioni positive dal continente e il
poco interesse da parte dei media sardi. Un modo di reagire
è quello di autoproteggersi e allora crescono piccoli
nuclei formati da promotori culturali, associazioni e artisti,
che mettono in atto la stessa azione della colonizzazione culturale:
affossano con l'indifferenza, chiudendosi in un guscio, tutto
ciò che è esterno al loro esiguo nucleo. In pratica,
per difendersi dalla colonizzazione culturale la riproducono
in scala più piccola e, a pagarne le conseguenze, sono
ancora gli artisti sardi che non vogliono entrare dentro quel
sistema, fra i quali il sottoscritto. Questa reazione è
definita brillantemente da Michele Atzori (Dr.Drer & Crc
Posse) “autocolonizzazione culturale”, attuata da
gruppi manco consci del processo di esclusione, mossi da interesse
e spirito corporativistico.
Generalizzando ed estendendo il ragionamento all'ambito socio-politico,
colonizzazione e autocolonizzazione culturale imbevono tutti
gli ambiti, per cui appare naturale vedere affiancati Lussu
e Salvini, accettare che si fabbrichino bombe a Domusnovas e
che 40 mila ettari di territorio siano sotto vincolo militare.
Sono questioni imbarazzanti, che raccontano la sofferenza sociale,
ma pure le greggi, e, per una volta parlando di Sardegna, non
mi riferisco alle pecore.
“I cantautori sono visti spesso come quei cantanti
che raccontano storie serie e tristi accompagnandosi con la
chitarra, un po' noiosi e compiaciuti. Ma stavolta lo faccio
anch'io e mi assumo tutte le responsabilità.” Uso
questa tua citazione per entrare nel merito del tuo ultimo diario
di viaggio, Canzoni da solo, come lo hai redatto e che
tipo di cambiamento-evoluzione hai avvertito...
Per usare le parole di Luigi Viva, “è un momento
di riflessione, un distillato di anni di esperienze, un guardarsi
allo specchio”. È un album nato per una mia
esigenza incalzante, anche se, il fatto di averlo realizzato
esclusivamente in digitale, mi ha appagato quanto aver messo
a dimora degli alberi fittizi. In fin dei conti, nelle fasi
di produzione, è stato bello ritrovarmi solo con la chitarra,
a riscoprire l'odore e il sapore delle canzoni appena nate,
perché proprio così nascono le mie, con la voce
in faccia a indirizzare l'attenzione su senso e significato
dei testi, ancor prima che giunga la musica.
“Voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio,
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio, voi che avete
cantato per i longobardi e per i centralisti” eruttava
Faber nella profetica e dirompente “Domenica delle salme”.
“Cari cantanti dotti, se aveste previsto tutto questo,
vanitosi e compiaciuti nei locali mezzi vuoti... Cantastorie
senza storia, mille parole per canzone, musiche immutabili,
medesima nenia... Cantautori in avaria... scribacchiate della
vita ciò che non vi sta bene, che non cambierete mai
con mezza copia venduta...” giacula con voce perentoria
e “potente adatta al vaffanculo” Nicola Pisu.
Allora, caro Nicola, considerando i tempi da terza repubblica
o da repubblica del terzo Reich, quale esercizio bisogna rinnovare
per evitare di cantare “per i centralisti, per l'Amazzonia
e la pecunia” e soprattutto evitare di suonare “nei
palastilisti e dai padri Maristi”...
Faber nella “Domenica delle salme” è decisamente
serio e di una sconvolgente potenza poetica, io – visto
che hai accostato le due citazioni – nella mia canzone
sono più che altro sarcastico. Riguardo agli esercizi
per non genuflettersi davanti al potere, non ho indicazioni
utili, a parte l'autogestione. Rispetto alle soluzioni preconfezionate
che certi ritengono debbano venir fuori dalle urne, sono fedele
al pensiero di Emma Goldman: “se votare cambiasse qualcosa,
sarebbe illegale”.
Contatti:
www.nicolapisu.it
info@nicolapisu.it
Gerry Ferrara
|