rivista anarchica
anno 48 n. 425
maggio 2018





A parte l'autogestione

intervista a Nicola Pisu

Dalla Sardegna, la voce e l'impegno di Nicola Pisu, da anni attivo nel sociale (compresa Emergency), nostro amico (e di don Gallo). E, per non genuflettersi di fonte al potere, di Emma Goldman.

Ancora una volta devo seguire il filo rosso-nero che tesse le trame delle storie e dei suoi protagonisti che racconto dalle tele di “A”: con Nicola Pisu, per le cronache ufficiali cantautore, per quelle randagie, invece, viandante dalla parola fertile che le cronache canta, è nata una sorta di complicità “casualmente consapevole” proprio dalle pagine di “A” rivista.
Ci siamo letti e ritrovati in poco tempo, fisicamente nelle terre sarde che entrambi viviamo, ineluttabilmente e concettualmente, nei medesimi sentieri che avevamo battuto per storie simili e parallele. Lontano dalle masse e dai rumori di fondo, dal branco e dalla volgarità e al contempo dentro le pieghe sociali declinate da disagio e determinazione, solitudini e bellezza, poesia e invettiva. E, ovviamente, tra i meandri deandreiani, tra i temi del condiviso progetto “buon compleanno Faber”, tra le figure di Don Gallo, Teresa Sarti, Giuseppe Pinelli (con Claudia Pinelli a scandire il racconto ancora da raccontare del padre e Nicola a “cantastoriare” di “Bombe e fiori” e di Piazza Fontana).
E siccome anche Nicola si tiene lontano da masterizzazioni e mitizzazioni e “firma” con noi il senso del viaggio, “non una cover, non un omaggio e nemmeno un ricordo”, decide, tra le altre, di eseguire “Il pescatore”, perché sa che è un brano svilito a canzonetta, perché sa che è forse il brano più libertario e anarchico di Faber e, soprattutto, perché Nicola, proprio come il pescatore di Fabrizio, non ha bisogno del giudizio per accogliere una persona, fosse anche un ipotetico assassino, ma offre il suo amore e il suo canto, come il pane e il vino del pescatore, poiché le cose le ha già sapute dal mare, dalla storia.

G.F.

Gerry Ferrara - Nicola, che storia è la tua, mettendo al bando biografie e presentazioni...
Nicola Pisu - A proposito de “Il pescatore”, quando me la commissionò per lo spettacolo, Don Gallo confessò essere la sua canzone preferita, perché De Andrè coniuga il pensiero anarchico e quello cristiano. E la mia storia la faccio cominciare in quegli anni, quando con una barca di canzoni già imbastite nei quaderni, presi a registrarle e a cantarle in pubblico.

Mi ha suscitato molta curiosità la tua esperienza all'interno del progetto Suoni e rumori popolari, lo sento molto vicino alle istanze dell'incipit della mia rubrica, raccontaci la genesi e la contestualizzazione di quel periodo e di quel linguaggio.
La prima metà degli anni novanta fu per me un periodo intenso: ci fu il trasferimento dal mio paese di origine a Cagliari, nella casa dello studente, e l'inizio dei miei studi universitari. Facevo sentire le prime canzoni ai miei coinquilini e con qualcuno se ne parlava, approfondendo i testi, i contesti e i riferimenti politici e culturali. Divenne abitudine che almeno una volta alla settimana ci si riunisse nella cucina comune per ascoltarle. Ricordo l'organizzare di un concerto clandestino dei Suoni e rumori popolari nell'ultimo piano del palazzo, organizzato eludendo il diniego della direttrice e la sorveglianza di uscieri e guardie notturne: nel pomeriggio giunse il resto dei SRP, scaricammo in strada la strumentazione e dal retro dello stabile si fece un passamano oltre le balaustre dei balconi. Talune mie canzoni erano note nell'ambiente universitario attraverso alcune demo in circolazione, così il concerto fu un successo. Però, il linguaggio era piuttosto giovanile: cercavamo ancora una nostra identità prendendo a modello la musica che amavamo.

Alla luce di questo tuo cammino e di questa tua attitudine al “sentire” il passo dolente e pregno di dignità dell'umano agire, è stato naturale ed ineluttabile incontrare Andrea Gallo e il suo pulsare “Angelicamente anarchico”...
Come ti ho detto segnò l'inizio della mia attività di cantautore. Fui segnalato a Don Gallo da Giancarlo Biffi, un amico libertario che si occupa di teatro. L'incontro col prete di marciapiede confermò e fece sedimentare quel fondo di convinzioni, quel certo modo di vedere e sentire le cose del mondo, che già mi portavo dentro.

Una delle tue peculiarità è sicuramente la naturalezza con la quale coniughi la capacità di attingere dal campo letterario e la sensibilità e l'urgenza di tenere un occhio vigile e un piede pronto sulla strada. Abacrasta e dintorni esemplifica il mio concetto...
La letteratura spesso si riversa nelle mie canzoni, tant'è che la mia poetica ne risulta condizionata. In generale, quando scrivo capita che navighi nella bruma dei ricordi, oppure che tragga ispirazione da vicende di cui ho sentito parlare, che ho letto sul giornale o in un romanzo, o che ordisca di sana pianta una trama immaginifica. Altre volte c'è dietro l'urgenza di denunciare qualcosa, di narrare un avvenimento, così il testo assume connotazioni proprie della canzone di protesta; ma non è la mia tipicità, a differenza per esempio del collega Alessio Lega.

Restando in tema, mi sembra opportuno rintracciare le coordinate del progetto Canzoniere del ‘900 e di conseguenza il fecondo incontro e scambio con la straordinaria Clara Murtas. Cosa ha rappresentato quel linguaggio che, teso ancora una volta a svuotare le stanze del re per riportare al popolo, legittimo proprietario, la coscienza e il sapere, permetteva anche, attraverso il racconto e il canto delle vicende politiche nazionali, di fare luce sui misfatti e i soprusi in terra sarda. Una terra che ancora oggi si nasconde dietro il velo totemico della cultura identitaria e proprio per questo è irrimediabilmente saccheggiata dagli sciacalli del potere e della mercificazione...
L'incontro con Clara Murtas è stato significativo dal punto di vista umano quanto da quello tecnico: fu lei a darmi le prime lezioni di canto quando sognavo di fare il cantautore, ma ancora non riuscivo a gestire la voce. Clara mi ha inoltre mostrato un mondo che non conoscevo, quello della tradizione musicale popolare, quel linguaggio del popolo insofferente sopraffatto dal dominio e contrapposto al potere. Con l'ensemble Canzoniere del ‘900, portavamo sul palco le canzoni di Giovanna Marini, Victor Jara, da “Bella ciao” a “Addio a Lugano”, dalle Mondine a Dylan, dalle insurrezioni del meridione alla rivolta di Pratobello. Nella scaletta Clara inseriva sempre anche qualche mia composizione.

Nicola Pisu
(Foto di Gigi Cabiddu Brau)

Girotondo è certamente, tra le tue opere, un lavoro di ricerca profondo, complesso, articolato, in cui, in qualche misura, la forza, la dolcezza e la ruvidezza della tua voce riescono con delicata leggerezza a narrare e cantare un caleidoscopio di “anime salve”, riuscendo così a dipanare l'intricata matassa delle periferie umane e svelare gli angoli remoti delle solitudini vincenti. Raccontaci di questo affresco e delle tue orazioni contenute in una sorta di breviario laicamente libertario.
Credo sia il mio album più pensato e impegnato, in quanto si occupa di problemi politici (nel senso alto del termine) e sociali. È un disco abbastanza anarchico da poter essere confuso per cristiano, se si trascura il fatto che sono ateo. Fra i personaggi c'è molta umanità in cerca di riscatto, che urla la propria richiesta di aiuto, uniti dal filo dell'emarginazione, ma un poco più liberi di chi vive dentro il cerchio-recinto uniformandosi alla massa.

Seguendo il filo rosso-nero del nostro incontro tra le pagine di “A” e dei tuoi diari custodi di Storie in forma di canzone, non possiamo fare a meno di parlare di “Un sogno sul Lungarno” dedicato a Franco Serantini...
Come riporta la nota sul disco, firmata dall'amico Paolo Finzi, la canzone racconta la storia di Serantini, anarchico, pestato a sangue dai celerini durante una manifestazione antifascista, che venne incarcerato e, nonostante l'evidente grave stato di salute, non venne curato, e lasciato morire in cella a causa delle gravissime lesioni riportate. Lessi sulle pagine di “A” quella storia e approfondii la vicenda attraverso la lettura del libro di Corrado Stajano.

Io non canto solo per cantare né perché ho una bella voce, canto perché la chitarra possiede sentimento e ragione...” declamava Victor Jara nel suo “Manifiesto”. Che rapporto ha Nicola Pisu con la sua chitarra quando si tratta di trasformare in canto un pensiero, quando la vive in un momento di intimità. Che tipo di complicità serve, invece, quando diventa un veicolo di trasmissione...
Fortunatamente o sfortunatamente sono lontanissimo da potermi considerare un veicolo di trasmissione, mi limito a scrivere canzoni quando arrivano e mai ho pensato di scriverle per ragioni puramente estetiche, oltretutto la mia chitarra, in queste mani, non possiede nemmeno troppo sentimento.

Che rapporto hai con la tua Sardegna, terra dalle forti contraddizioni, terra coltivata da una forte spinta comunitaria e che allo stesso tempo si fa “inseminare” dal più feroce e mortifero amante neoliberista, terra ricca di “oasi e di cattedrali nel deserto” (spesso nel volgere di pochi metri...), di bellezze sconfinate e di violenze ambientali inaudite, di testimonianze forti di libero pensiero e di luttuoso appiattimento culturale. In fondo, stiamo parlando dell'atavica ed eterna dualità che affligge l'essere umano. Che lettura dai socialmente e anarchicamente al momento storico che vive la tua terra.
Permettimi di spostare il ragionamento sul settore artistico: vige un atteggiamento definito “colonizzazione culturale”, secondo il quale ciò che nasce qui non ha pari dignità di ciò che arriva da fuori. A pagare le conseguenze sono le produzioni indipendenti sarde e, nel mio caso, si spiegano così le tante recensioni positive dal continente e il poco interesse da parte dei media sardi. Un modo di reagire è quello di autoproteggersi e allora crescono piccoli nuclei formati da promotori culturali, associazioni e artisti, che mettono in atto la stessa azione della colonizzazione culturale: affossano con l'indifferenza, chiudendosi in un guscio, tutto ciò che è esterno al loro esiguo nucleo. In pratica, per difendersi dalla colonizzazione culturale la riproducono in scala più piccola e, a pagarne le conseguenze, sono ancora gli artisti sardi che non vogliono entrare dentro quel sistema, fra i quali il sottoscritto. Questa reazione è definita brillantemente da Michele Atzori (Dr.Drer & Crc Posse) “autocolonizzazione culturale”, attuata da gruppi manco consci del processo di esclusione, mossi da interesse e spirito corporativistico.
Generalizzando ed estendendo il ragionamento all'ambito socio-politico, colonizzazione e autocolonizzazione culturale imbevono tutti gli ambiti, per cui appare naturale vedere affiancati Lussu e Salvini, accettare che si fabbrichino bombe a Domusnovas e che 40 mila ettari di territorio siano sotto vincolo militare. Sono questioni imbarazzanti, che raccontano la sofferenza sociale, ma pure le greggi, e, per una volta parlando di Sardegna, non mi riferisco alle pecore.

I cantautori sono visti spesso come quei cantanti che raccontano storie serie e tristi accompagnandosi con la chitarra, un po' noiosi e compiaciuti. Ma stavolta lo faccio anch'io e mi assumo tutte le responsabilità.” Uso questa tua citazione per entrare nel merito del tuo ultimo diario di viaggio, Canzoni da solo, come lo hai redatto e che tipo di cambiamento-evoluzione hai avvertito...
Per usare le parole di Luigi Viva, “è un momento di riflessione, un distillato di anni di esperienze, un guardarsi allo specchio”. È un album nato per una mia esigenza incalzante, anche se, il fatto di averlo realizzato esclusivamente in digitale, mi ha appagato quanto aver messo a dimora degli alberi fittizi. In fin dei conti, nelle fasi di produzione, è stato bello ritrovarmi solo con la chitarra, a riscoprire l'odore e il sapore delle canzoni appena nate, perché proprio così nascono le mie, con la voce in faccia a indirizzare l'attenzione su senso e significato dei testi, ancor prima che giunga la musica.

“Voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio, coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio, voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti” eruttava Faber nella profetica e dirompente “Domenica delle salme”. “Cari cantanti dotti, se aveste previsto tutto questo, vanitosi e compiaciuti nei locali mezzi vuoti... Cantastorie senza storia, mille parole per canzone, musiche immutabili, medesima nenia... Cantautori in avaria... scribacchiate della vita ciò che non vi sta bene, che non cambierete mai con mezza copia venduta...” giacula con voce perentoria e “potente adatta al vaffanculo” Nicola Pisu. Allora, caro Nicola, considerando i tempi da terza repubblica o da repubblica del terzo Reich, quale esercizio bisogna rinnovare per evitare di cantare “per i centralisti, per l'Amazzonia e la pecunia” e soprattutto evitare di suonare “nei palastilisti e dai padri Maristi”...
Faber nella “Domenica delle salme” è decisamente serio e di una sconvolgente potenza poetica, io – visto che hai accostato le due citazioni – nella mia canzone sono più che altro sarcastico. Riguardo agli esercizi per non genuflettersi davanti al potere, non ho indicazioni utili, a parte l'autogestione. Rispetto alle soluzioni preconfezionate che certi ritengono debbano venir fuori dalle urne, sono fedele al pensiero di Emma Goldman: “se votare cambiasse qualcosa, sarebbe illegale”.

Contatti:
www.nicolapisu.it
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Gerry Ferrara