Sono un ergastolano “osta-morto”
In questo numero faccio spazio all'ergastolano Marcello Ramirez, da tanti anni detenuto nel carcere di Catanzaro Siano e da poco trasferito nel carcere di Rossano Calabro.
Ecco cosa mi scrive: Carissimo Carmelo è assolutamente vero che quando ti trasferiscono è come se ti arrestassero di nuovo. Purtroppo mi sa che qui ho trovato uno zoccolo duro istituzionale insieme a un appiattimento dei detenuti. Mi sforzo di capire quelli che hanno un fine pena, ma chi è già giuridicamente morto non l'accetto, così sto cercando di far capire che se non ci aiuteremo noi, non lo farà nessuno.
Poi mi chiede di diffondere questo suo articolo.
Carmelo
A volte non so chi sono...
Forse un morto che fa finta di essere vivo?
Oppure sono un uomo “vivo” che cammina in mezzo
alla morte?
Sapete qual è la cosa strana?
Che la morte non ha odore, ma la si riconosce guardando negli
occhi i condannati “all'ergastolo ostativo”.
Nei loro occhi non c'è la luce della speranza, si vede
la “luce” dell'oscurità e della nullità
di essere un “uomo”.
Mi
viene in mente il libro che scrisse Primo Levi, “Se questo
è un uomo”.
La condanna “ostativa” ci porta a questa riflessione.
Ma la stessa condanna all'ergastolo, “fine pena mai”,
ci toglie l'anima, facendoci vivere senza speranza.
E un uomo senza speranza è già morto.
Parafrasando il titolo del libro, potremmo dire per tutti i
condannati all'ergastolo: “Se questi sono uomini”.
Gesù Cristo usava il perdono, invece della vendetta,
infatti un giorno disse a Pietro:
“Perdonare, perdonare sempre, perdonare una miriade di
volte, perché nessuno è in grado di giudicare
e punire.”
Con questo non voglio dire che se qualcuno commette un reato
non deve essere condannato, però la condanna deve rispettare
la dignità del reo, sancita dalla nostra Carta Costituzionale
nell'art. 27.
E rafforzato dagli articoli 1, 2 e 3 della Convenzione Europea
sui Diritti dell'Uomo.
L'ergastolo “ostativo” non solo viola questi diritti,
ma fa di più, entra a pieno titolo nella violazione dell'art-613
bis del codice penale, legge sulla tortura.
Nessuno ha il diritto di togliere la speranza, nemmeno al più
feroce assassino.
Desidero citare la storia della principessa Pandora:
“Pandora, una principessa dell'antica Grecia, ricevette
in dono dagli dei un vaso, che conteneva tutti i mali del mondo.
Anche se era stata ammonita a non aprire il coperchio, Pandora,
curiosa, tirò via il coperchio e dal vaso uscirono malattie,
turbamenti, invidia, gelosia, egoismo, ecc. ecc.
In fondo al vaso rimase la speranza”.
E fu così che il mondo si salvò, perché
con la speranza l'uomo riuscì a vivere e a dare un senso
alla sua vita.
Noi ergastolani sopravviviamo con la speranza, per non cadere
nel baratro dell'ansia, che ci può sopraffare e far perdere
l'equilibrio mentale...
Lungi da me fare del vittimismo, le vittime sono altre, e personalmente
ne ho tantissimo rispetto.
Io ritengo che la speranza non si possa togliere a nessun uomo
e non deve essere “barattata”, è un diritto
“inalienabile” e universale.
Ogni pena deve avere un inizio e una fine, solamente così
si potrebbe evitare che le carceri diventino criminogene e vendicative.
Marcello Ramirez
Carcere di Rossano Calabro
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