Il rito elettivo si è finalmente consumato dopo un'estenuante campagna elettorale. Il dopo rito si è subito riproposto altrettanto estenuante, come del resto, a voler essere realisti, lo è stato pure durante, dal momento che il testa a testa del conteggio quantitativo dei voti ha occupato quasi tutta la lunga notte dell'attesa, per i tifosi coinvolti senz'altro spasmodica. Ciò che mi sembra abbia veramente trionfato, più che i contendenti in carne ed ossa, è stata la campagna mediatica in sé, la capacità ipnotica, politicamente soporifera, dello schermo televisivo.
Il Berlusca sembra, e sottolineo il “sembra”, non mollare. Propone l'immagine di sé dell'eroe guerriero che non accetta la sconfitta e combatte fino all'ultima goccia di sangue, indomito. Il richiamo emotivo potrebbe essere benissimo a un film come Braveheart, che propone l'indomito e non sconfitto, anche se perdente, leggendario eroe scozzese che lottò contro il potere dittatoriale di un macellaio re inglese. Il nostro è l'eroe della libertà del “libero mercato” senza controllo che ci salvaguarda dalla dittatura sotterranea degli “eredi del comunismo”, come li ha definiti, che vogliono solo e soltanto il potere per sé e i propri amici. Lui invece no – si propone –, con la politica finora ci ha solo perso soldi e tempo, ma è un cuore d'oro ed offre i suoi preziosi servizi per aiutarci, per proteggerci dai tiranni dal bonario viso da mortadella. Siamo oltre le comiche più spinte della commedia dell'arte.
Ciò che viene da chiedersi è se questo autoproclamatosi “mecenate della presunta libertà nostra” sia un pirla, o un furbo che ne sa una più del diavolo, o qualcos'altro che non siamo ancora riusciti a capire cosa possa essere. Personalmente sono sempre più convinto che l'imprenditore Berlusconi sia un buon mercante imbonitore che ha impestato la politica sapendo vendere la propria merce in modo spregiudicato e a tratti imprevedibile. Non possiamo giudicarlo semplicemente con il nostro metro di giudizio, che ce lo fa sembrare buffo e a volte stupido, perché così non riusciamo a capirlo.
Il suo agire mediatico con accenti politici è come un “carosello”, una vera e propria pubblicità del prodotto che vuole smerciare, per cui usa le stesse tecniche pubblicitarie delle merci. Propone la superbontà del suo prodotto, sottolineandone ossessivamente l'identità, volendo sovrastare tutti gli altri e calpestando spregiudicatamente tutto e tutti pur di raggiungere l'obbiettivo d'imbonire e convincere che è il migliore e l'unico. Di ciò che dice con insistenza rimane sempre qualcosa. Nel caso specifico in questione ha creato e crea un precedente, facendo credere ai suoi che ufficialmente non ha vinto perché i nemici hanno imbrogliato. E funziona, come ormai dovremmo aver imparato.
Instillare il dubbio
In realtà il cavaliere ex-premier ha sempre saputo che l'accusa di brogli elettorali non poteva reggere e che il verdetto delle urne non poteva essere mutato. Il bailamme che ha sollevato gli è solo servito per instillare il dubbio nell'elettorato, compreso quello di centro-sinistra, in modo da fiaccare i vincitori dal punto di vista psicologico. E poi non è uscito affatto male da queste elezioni.
Per prima cosa si è liberato momentaneamente della bega di dover governare in una situazione niente affatto facile, molto anche per le tante stronzate dei suoi governi appena terminati. In secondo luogo, pur leggermente ridimensionato, il suo partito di “telespettatori” (1) è rimasto il primo partito del panorama nostrano, quindi presenza d'opposizione più che consistente, il più forte in larghissima misura dentro la CdL, per cui rimane la sua preminenza all'interno della propria coalizione, rafforzata forse dal fatto che è riuscito a portare parecchi voti in finale di campagna. In terzo luogo, ha raggiunto l'obbiettivo di lasciare uno spazio di manovra estremamente risicato alla maggioranza avversaria vincente che, non proprio compatta sul piano di ciò che c'è da fare, non avrà certamente vita facile nel compito di esercitare il potere di governo, dal momento che, soprattutto al senato, nelle future votazioni non potrà mai permettersi di avere defezioni o assenze.
Dall'altra parte il centrosinistra prodiano ha vinto le elezioni, ma non è riuscito nei suoi intenti principali: mandare a casa l'asse berlusconiano, o perlomeno metterlo a cuccia, e raggiungere una maggioranza ragguardevole e rassicurante che possa permettergli di governare con tranquillità. Il polo avversario, ex maggioranza parlamentare, è ancora lì, forte elettoralmente al 50%, incalzante e desideroso di metterli in serie difficoltà ad ogni occasione propizia. Del resto è sempre stato chiaro che la coalizione di centrosinistra ha come unico denominatore comune il netto ripudio di Berlusconi, sia come visione culturale sia come immagine mediatica della politica, per cui per essa sarebbe estremamente vitale riuscire a prevalere con virulenza a livello di consenso. Il non esserci riuscita rischia di diventare una seria ipoteca sulla sua prossima futura capacità di esercitare il potere di governo.
Ma la più probabile vera debolezza del centrosinistra dipende dal fatto che al proprio interno l'asse prodiano non è per nulla compatto e omogeneo, dal momento che esprime almeno quattro punti di vista diversificati: quello riformista cattolico sinistreggiante, quello riformista socialisteggiante, quello laicista, quello centrista di ispirazione catto-comunista. In più, attraverso Rifondazione Comunista che ne rappresenta la cinghia di trasmissione, è collegato in qualche modo, frequentemente confuso, ai movimenti antiliberisti emergenti, i quali cominciano ad esprimere con forza il bisogno di conquistarsi il loro spazio istituzionale. Questi diversi punti di vista entrano facilmente in contrasto fra loro. Con gran difficoltà potranno perciò trovare i compromessi indispensabili per raggiungere la compattezza necessaria ad esercitare l'atto del governare lo stato.
Pesanti ripercussioni
Questa più o meno la fotografia del panorama politico istituzionale determinatosi in seguito al responso delle urne. Da anarchico, istintivamente vien da dire: «son fatti loro!». Purtroppo, invece, ciò che lor signori faranno e decideranno, come sempre, avrà pesanti ripercussioni su tutti noi. È il destino storicamente determinatosi del dover dipendere da oligarchie governative centrali che, con o senza il nostro consenso, hanno istituzionalizzato il compito specifico di decidere per tutti e su tutti, sistematicamente contro la maggioranza popolare dei più deboli e indifesi.
Qual è infatti il compito che attende i decisori eletti? Quello di far funzionare lo stato, quale sistema di potere vigente, e lo stato di cose presente, quale situazione sociale in atto. Risiede proprio qui la questione di sustanzia di fondo, attorno alla quale diventa imprescindibile soffermare e sviluppare il ragionamento, per la comprensione delle dinamiche della realtà e di che cosa abbia senso ai fini di uno sviluppo che sia effettivamente in grado di apportare un benessere diffuso vero e un progresso che non sia più, com'è ora, apportatore costante di morte, miseria e distruzione.
Per comprendere la sustanzia bisogna identificare il senso che sottende al modus operandi ed al modus vivendi imperanti, che sono ormai omologhi in tutto il mondo, pur con impostazioni culturali e forme istituzionali statuali differenti. A differenza di Hardt e Negri (2), personalmente non credo si possa parlare di un impero economico che fa capo agli USA, in quanto l'accezione di impero connota non solo la prevalenza, bensì la totale supremazia impositiva di uno stato che ne ha conquistati altri sottoponendoli al suo esclusivo comando. Per quanto in effetti gli USA continuino a conservare una notevole prevalenza nella gestione degli affari del mondo, non mi sembra però che riescano a sottomettere la globalità del pianeta ai propri esclusivi comandi e interessi. Anzi, sempre di più si trovano costretti a fare i conti con la concorrenza di paesi emergenti, quali ad esempio Cina e India, di cui hanno addirittura ipotizzato il sorpasso fra poco più di un decennio.
Abbiamo invece un sistema di interessi capitalisti e finanziari, gestito dalle multinazionali e da poteri forti, che è riuscito ad avviluppare la globalità degli stati sulla terra, fino ad irretirli in una globalità di spinte e d'intenti che li accomuna in un intreccio altamente complesso. La permanenza e la conservazione di un tale stato di cose è attualmente la causa principale di una situazione mondiale caratterizzata dal perdurare e dall'acuirsi dello sfruttamento di chi lavora, dalla creazione di enormi sacche di povertà, dal fiorire del riciclaggio di denaro sporco con conseguenti organizzazioni malavitose, che incontrastate fanno i loro affari sorrette da insospettabili connivenze finanziarie e politiche, dalla necessità di un sistematico controllo centralizzato su tutto e su tutti da parte delle oligarchie politiche al comando e degli occulti poteri forti in economia.
Impedire ogni opposizione
Il mondo si sorregge su questo complesso e perverso intreccio e, al di là della loro volontà, gli stati non possono che garantirne la sopravvivenza, l'efficienza e la continuazione. Per loro natura, gli stati e le istituzioni vigenti, qualunque esse siano, non possono e non riescono a mettere in discussione questa sustanzia, mentre si occupano di renderla efficiente e operativa controllando l'equilibrio sociale di loro competenza, definendo territorialmente le regole del gioco che possono arrecare loro il maggior vantaggio possibile, cercando d'inserire favorevolmente l'economia della loro giurisdizione nel gioco globale concorrenziale. Per riuscire nel loro intento hanno bisogno di impedire il sorgere e il dilatarsi di ogni opposizione che metta seriamente in discussione un tale assetto e di controllare che nulla sfugga al loro comando.
Lo stato italiano è completamente parte integrante di questo sistema globale di potere politico ed economico. Anzi! Essendo stato fino all'altro ieri uno dei sette paesi più industrializzati del mondo, ne è a tutti gli effetti complice fattivo e tra gli interpreti responsabili di detta situazione. Il fatto che momentaneamente non riesca a stare al passo coi tempi, perché ultimamente, data l'endemica incapacità dei suoi governanti, non ha saputo sfruttare adeguatamente la posizione che si era conquistato, non significa altro che, per pecche tutte interne alla classe dirigente che lo amministra, non è stato in grado di rispettare le aspettative che a suo tempo aveva determinato. Ma psicologicamente, strutturalmente e tendenzialmente continua a rientrare perfettamente in quell'area di stati-padrone che vorrebbero continuare a imporsi per dirigere i destini del pianeta.
Voler governare lo stato italiano, dunque, non vuol dire altro che aspirare a farlo rientrare nel ruolo internazionale che i politicanti pensano gli competa. Il centrosinistra, al pari del centrodestra, si propone così come il motore adatto a rimettere in moto la macchina nostrana, che ultimamente sembra essere in panne. Certo! Le differenze ci sono: la parte destreggiante vuol raggiungere l'obbiettivo dando soprattutto spazio agl'interessi personalistici e privatistici, mentre la parte sinistreggiante lo vuol fare in una sostanziale salvaguardia del welfare. Ma non sono differenze sostanziali, perché sia l'un che l'altro polo aspirano entrambi a gestire la da loro auspicata ripresa della capacità concorrenziale del belpaese e a riattivare i consumi, affinché l'economia di casa nostra rientri a pieno diritto tra gli stati che vogliono incidere sulle sorti di questo mondo che, dal punto di vista della libertà della giustizia e dell'uguaglianza, sta andando in malora.
Eliminare subordinazione, oppressione, sfruttamento
È in questa aspirazione governativa di fondo, finalizzata alla ripresa economica all'interno del mercato capitalista globale e comune alla politica istituzionale di destra di sinistra di centro, che sta il nocciolo vero del problema politico che ci investe tutti in quanto esseri umani. Noi anarchici, proprio di fronte all'evidenza delle scelte fondamentali, che non fanno altro che confermare lo stato patologico planetario in cui si trovano costrette le relazioni sociali e umane, rimaniamo vieppiù ancorati ai presupposti ai valori e ai principi aderendo ai quali ci siamo riconosciuti nell'anarchismo, con la ferma consapevolezza che ciò a cui aspiriamo non è autarchico, non è cioè ristretto al nostro specifico limitato ambito, ma riguarda e investe direttamente ogni altro individuo, fratello o sorella che sia, esistente sulla faccia di questa nostra terra minacciata.
Noi anarchici con forza rinnovata continuiamo a sentire valida l'aspirazione di completa emancipazione dallo stato di subordinazione di oppressione e di sfruttamento in cui versa la stragrande maggioranza dell'umanità. E lo scopo dell'emancipazione è sopra ogni altra cosa quello di eliminare alle radici sia la subordinazione sia l'oppressione sia lo sfruttamento, non certamente quello di tentare di renderli accettabili, calmierandone gli effetti deleteri e distribuendo qualche briciola in più a chi ha poco o non ha niente, con lo scopo malizioso di illuderci che qualcosa stia cambiando, per convincerci magari che non bisogna ribellarsi, ma che bisogna al contrario affidarsi fiduciosi a chi in realtà non vuol altro che continuare a farci rimanere nello stato subordinato oppresso e sfruttato in cui desiderano lasciarci incatenati.
È per questo che con grande determinazione sosteniamo e propagandiamo che lo stato di cose presente non va né governato né migliorato, ma letteralmente sovvertito. Per quale ragione dovremmo continuare a sopportare supinamente la logica di una ripresa economica i cui effetti non possono che essere l'aumento del divario sociale tra ricchezza e povertà, tra chi ha di più e chi possiede poco pochissimo o addirittura niente? Per quale ragione dovremmo continuare ad accettare supinamente un modello di sviluppo fondato sull'accaparramento delle risorse in pochissime mani, che hanno l'unica lungimiranza di depredarle fino all'esaurimento e che, nella foga di sfruttarle a proprio esclusivo avido vantaggio, se ne fottono bellamente di inquinare massacrare e distruggere? Per quale ragione dovremmo continuare a subire supinamente delle procedure decisionali, che altro non sono che strutture di comando di oligarchie al potere, che non hanno altro scopo che di conservare questo stato di cose contro il quale non possiamo che opporci, contro il quale prima o poi anelerà di resistere ad oltranza l'enorme massa di sfruttati e oppressi che ne soffrono il peso?
Fino a quando avremo forze e possibilità soffieremo sul fuoco del bisogno di rivolta, agendo per far si che aumenti la coscienza dei propri diritti e per portare gli individui, tutti gli individui, alla consapevolezza piena che questo sistema va prima bloccato e poi trasformato radicalmente. Per mettere in piedi un nuovo sistema di relazioni sociali, fondato sull'uguaglianza dei benefici e dell'usufrutto delle risorse, sulla solidarietà, sulla reciprocità, sulla valorizzazione delle differenze individuali, sul rispetto ecolo-gico/integrato e condiviso del contesto naturale che ci accoglie e di cui facciamo parte, sull'istituzione di metodi di decisione orizzontali e non gerarchici, capaci di coinvolgere tutti i componenti l'insieme sociale, senza poteri separati senza privilegi di sorta senza imposizioni coattive. Tenteremo sempre, per quanto ne saremo capaci, di mettere in moto processi che ci avvicinino sempre di più al nuovo mondo possibile, che non potrà che essere sempre più vicino ai valori dell'anarchia.