rivista anarchica
anno 38 n. 332
febbraio 2008


dossier Germinal

 


Quotidianità ed eccezionalità di uno spazio lungo quarant’anni

Tuffo dentro una sede anarchica
a cura del gruppo Germinal

1969 – 1979

Tutto cominciò con uno scatto d’orgoglio. Nell’estate del 1969, un gruppetto di studenti, più o meno libertari – il termine “anarchici” era troppo forte! – sognava un movimento studentesco indipendente dal PCI. Verso quei giovani indisciplinati la diffidenza del Grande Partito, che pure metteva a disposizione il suo ciclostile, si palesò già al corteo del Primo Maggio 1969, quando il servizio d’ordine del PCI-CGIL strappò loro di mano le bandiere rossonere lasciando portare solo quelle rosse. Beata ingenuità degli inesperti: quegli studenti ritenevano che entrambe potessero sfilare in nome del pluralismo del movimento operaio. In quell’occasione Umberto Tommasini (vedi A 330) intervenne in difesa della bandiera rossonera, di fronte ad un Vittorio Vidali sorpreso di reincontrare degli anarchici, ancora vivi, nonostante lui.
Pochi mesi dopo, il Collettivo Libertario Studentesco si unì ad Umberto e ai vecchi compagni del Gruppo Germinal (fondato nel 1946 insieme al giornale), per aprire una sede. Era stato preso in affitto un vecchio e malandato appartamento al secondo piano di via Mazzini 11 che aveva, però, tre pregi: l’ampiezza, la centralità e un grande balcone che sembrava fatto apposta per striscioni e bandiere. Attraverso una sottoscrizione tra i compagni di diverse tendenze, ma vicini al movimento del Sessantotto, tutti desiderosi di poter stampare autonomamente i propri volantini, nel giro di qualche mese venne comprato un ciclostile manuale per 30.000 lire. La sede diventò così il centro di un’attività frenetica ed entusiasta per centinaia di giovani, mentre compagne e compagni anziani continuavano a ritrovarsi in un più tranquillo e caldo caffè. Con la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (16 morti) e con l’assassinio di Pino Pinelli, lo Stato si presentò col volto esplicito della repressione, determinando una scelta tra i giovani: dal generico e vago libertarismo si passò all’impegno nel movimento anarchico specifico. Le perquisizioni e i sequestri abusivi di documentazione nelle case dei compagni raggiunsero anche la sede, che per molti anni dovette subire periodiche intrusioni poliziesche. “Attenti, qui ci sono le bombe!” disse Umberto agli agenti che gli avevano imposto di aprire un armadio pieno di… libri.

1977: primo maggio, Umberto Tommasini

Il pesante clima repressivo e la feroce campagna contro gli anarchici dissuasero i collettivi studenteschi dal frequentare la sede, ma non impedirono l’inizio di una capillare campagna di controinformazione sulla strage di Piazza Fontana. Il momento più alto della mobilitazione locale si verificò a fine febbraio 1972, in concomitanza con l’inizio del processo a Valpreda a Roma. Dal rione popolare di San Giacomo scese in città un corteo di 500 persone, di cui la metà con le bandiere nere e rossonere, che si fermò davanti alla Questura, per denunciare l’assassinio di Pinelli, e si concluse poi sotto la sede, troppo piccola per tutti. Nella Trieste divisa tra nostalgici dell’Austria e nostalgici del fascismo si stava facendo spazio un nuovo movimento libertario con una forza sorprendente e che suscitava una diffusa simpatia, dimostrata dalle centinaia di copie di “Umanità Nova” vendute ogni settimana.
La nostra presenza continua davanti alle fabbriche e la collaborazione con i collettivi operai di base, scatenò le ire della triplice sindacale. Anche per questo motivo cominciarono a fioccare le denunce e i processi che accompagneranno le attività fino ai giorni nostri.
Si diffusero in quel periodo nel movimento anarchico italiano le idee archinoviste, accentratrici e fautrici della responsabilità collettiva. Un acceso dibattito ebbe luogo anche a Trieste e portò alla rottura all’interno del Gruppo e alla successiva uscita di un nutrito numero di giovani dalla sede.

1974: primo maggio

Fuori dal covo: incontro con il movimento
Seppur decimati e notevolmente abbattuti, ma sostenuti dai vecchi compagni, iniziò un lungo periodo di intensissima attività che portò a impegnarsi su diversi argomenti, dalla scuola al mondo del lavoro, dalla controinformazione all’antifascismo. Uscendo dalla angusta dimensione locale, il gruppo si aprì verso il più ampio movimento di lingua italiana – soprattutto la Federazione Anarchica Italiana, alla cui fondazione nel 1945 il Germinal aveva contribuito – e si allacciarono rapporti, tuttora molto stretti, con i compagni del Friuli e del Veneto. Anche il giornale, che usciva tutti gli anni il 1° maggio, diventò un luogo di dibattito e confronto aperto a molteplici collaborazioni e la sede fu teatro di concitate e allegre assemblee redazionali.
Le iniziative si indirizzarono principalmente verso l’antimilitarismo con decine di mostre in piazza contro i danni degli eserciti (dal Cile all’URSS, dagli USA all’Italia) contro la leva obbligatoria e le servitù militari. Ci furono varie marce antimilitariste; quella del 1975, sul percorso Trieste-Aviano, sancì la rottura con i Radicali di Marco Pannella e si interruppe, ancor prima di iniziare, di fronte alla loro volontà di difendere il sindacato di polizia e gli “ufficiali democratici”; gli anarchici abbandonarono la marcia, dimostrando di non essere gregari di nessuno. Un centinaio di compagni solidali, arrivati da tutta la penisola, invase la sede. Da qui partì una serie di manifestazioni antimilitariste che percorsero la regione coinvolgendo migliaia di persone e centinaia di soldati di leva. In quei giorni di fine luglio cominciarono a concentrarsi sugli antimilitaristi anarchici della regione le attenzioni di vari corpi statali: carabinieri e polizia politica, e perfino i servizi segreti, che per anni non abbandonarono la preda. La magistratura iniziò a processare i compagni più attivi e determinati, per dimostrare che con le forze armate non si scherza e per dissuadere i “guastafeste”, secondo la definizione di un giudice togato.

1977: mostra in piazza contro l’aggressione del PCI

Nella seconda metà degli anni Settanta si dovettero fronteggiare anche gli attacchi dei fascisti, che più volte tentarono l’assalto alla sede, nonchè il livore degli stalinisti del PCI e della CGIL. L’intervento violento del servizio d’ordine del PCI al corteo del Primo Maggio del 1977 si spiega come una vendetta per le scottanti sconfitte subite nelle scuole e all’Università, dove il Partito era stato addirittura espulso da un’Assemblea per aver impedito agli studenti “estremisti” la partecipazione ad un corteo. Le aggressioni, avvenute sotto gli occhi compiaciuti degli sbirri, con l’uso di chiavi inglesi, bastoni e tirapugni, colpirono compagni e compagne e lo spezzone femminista. Nei giorni seguenti “L’Unità” pubblicò la richiesta di chiudere i covi sovversivi a Trieste. Non ci voleva molta fantasia per indovinare di quale covo si trattasse, visto che i gruppi extraparlamentari erano già caduti in una crisi irreversibile, mentre quelli emergenti – femministe e autonomi – non avevano locali propri.
Sempre nel 1977 – anno di grandi eventi – la sede ospitò varie riunioni col collettivo francese antipsichiatrico Marge, venuto a Trieste per contestare i fasti ambigui di Basaglia e soci.
Verso la fine dell’anno la sede fu punto di incontro per gli occupanti dell’ appena sgomberato Centro Sociale di via Gambini, per l’organizzazione di iniziative contro la repressione e l’incarcerazione di una decina di compagni.
La lunga stagione di fermento con riunioni pressoché quotidiane, con la nascita di collettivi studenteschi, la redazione del foglio interregionale Cre/azione, le numerosissime manifestazioni di piazza, il vivace dibattito politico dentro e fuori il movimento anarchico si stava chiudendo. Gli “anni di piombo” – il piombo dei proiettili polizieschi contro i compagni e quello delle galere che si chiudevano alle loro spalle – erano cominciati.
La sede diventò allora centro propulsore di una nuova iniziativa: una compagna e un compagno, con il sostegno ideale e pratico del gruppo, aprirono la libreria “Utopia 3” che per qualche anno promosse dibattiti, conferenze, presentazioni di libri e si propose come luogo stabile di incontro dell’area alternativa della città.

1977: sciopero generale, settore libertario e autonomo

Gli anni Ottanta

Il 22 agosto1980 morì Umberto Tommasini. La sua scomparsa rappresentò una svolta nell’attività della sede: si interruppe il filo con un passato ricco di esperienza e di saggezza e il gruppo dei “giovani” dovette contare esclusivamente sulle proprie capacità di interpretazione della realtà e di intervento politico e sociale.
Un modo per non restare del tutto “orfani” fu quello di mettere in ordine le lunghe e affascinanti memorie orali di Umberto, attraverso un meticoloso lavoro di ricerca e di trascrizione.
Il volume “L’anarchico triestino” ricchissimo, rigoroso, affettuoso fu pubblicato dalle Edizioni Antistato nel 1984.

1984: manifestazione astensionista

La repressione, il ripiegamento nel privato e la comparsa della perfida eroina non risparmiarono il movimento. Ma via Mazzini 11, seppure più vuota, rimase uno spazio aperto alle istanze libertarie. Conclusa in modo infelice l’esperienza della libreria, gran parte dell’attività dei primi anni Ottanta ruotò attorno ad un altro strumento di grande rilievo: Radio Onda Libera, poi Radio Libertaria. Grazie al lavoro miracoloso di un compagno, esperto radiofonico, che creò dal nulla le apparecchiature necessarie, per vari anni fu possibile dar voce a punti di vista alternativi e antiautoritari. Ancora una volta la sede ospitò riunioni di una trentina di collaboratori che, oltre la diretta, curavano la messa in onda di centinaia di conferenze. I pochi anarchici, senza soldi e appoggi istituzionali, erano stati in grado di aprire quegli spazi di critica e di comunicazione che gli apparati dei partiti di massa non riuscivano né a realizzare né a far funzionare.
Non mancarono in quel periodo le risposte alle aggressioni fasciste contro il Collettivo Libertario Universitario, attivo da alcuni anni nelle facoltà scientifiche, e le iniziative contro la repressione statale che si abbatté su ciò che restava del movimento del ’77. In sede venne organizzato un incontro con il principale accusato della “Strage di Stato”, quel Pietro Valpreda che nel 1969 stava per essere schiacciato dalla montatura ordita dai servizi segreti e dai loro alleati neonazisti.

Primi anni ’80: manifestazione antimilitarista

Controinformazione a tutto campo
Nel 1985 il “covo” di via Mazzini fu, ancora una volta, un punto organizzativo indispensabile per rispondere a livello pubblico alla brutale violenza dello Stato. Il 9 marzo una squadra di poliziotti uccise a colpi di pistola, davanti alla sua casa di via Giulia 39, Pietro Greco, detto Pedro, un autonomo attivo a Padova che si era trasferito a Trieste per sfuggire alle persecuzioni poliziesche. L’assassinio di un uomo inerme suscitò una forte emozione in città e in pochi giorni centinaia di persone denunciarono l’essenza terrorista dello Stato.
Con prepotenza si affacciarono anche a livello locale le problematiche legate all’ambientalismo: la ventilata costruzione a Trieste di una centrale a carbone provocò la nascita del Collettivo Energia Ecologia che si ritrovò in sede ad analizzare i temi della crisi energetica e dei piani del capitalismo italiano e ad organizzare manifestazioni di protesta e di controinformazione. Le frequenti riunioni del collettivo permisero di far conoscere meglio a Trieste quanto i compagni di San Giorgio di Nogaro avevano elaborato a proposito delle questioni ambientali. Il punto di riferimento teorico era il lavoro di Murray Bookchin, che parlò all’Università di Trieste a centinaia di studenti, docenti e cittadini presentando l’indissolubile legame tra sistema autoritario e inquinamento dilagante e irreversibile. Collegata all’impegno ecologista si sviluppò, nel maggio 1986, la protesta cittadina per gli effetti disastrosi dello scoppio della centrale nucleare di Chernobyl. Dalla sede si mossero vari compagni per partecipare e, caso strano, guidare il corteo spontaneo di migliaia di persone che si diresse in Prefettura a presentare diverse rivendicazioni, soprattutto in merito alla trasparenza dell’informazione.

1983: stampa di manifesti nella sede

Motivazioni ecologiche furono alla base della lotta contro la costruzione a Basovizza, sul Carso triestino, del Sincrotrone, un enorme anello di cemento per l’accelerazione di particelle, fortemente voluto da un fisco dispotico, il Nobel Carlo Rubbia, che riuscì nel suo intento. Durante gli anni Ottanta mise radici tra gli anarchici triestini un filone di impegno solidale con i compagni della Jugoslavia. A Zagabria e a Belgrado, attorno agli ambienti culturali dissidenti dei filosofi e dei sociologi, erano maturate delle posizioni antiautoritarie critiche sia verso il regime titoista che le pulsioni nazionaliste nostalgiche. Si trattava dei gruppi definiti “anarcoliberali” dal Ministero degli Interni e considerati il pericolo n. 2 per l’ordine pubblico federale. Dalla sede uscirono proposte di incontri e convegni e la pubblicazione del volumetto “A bocca chiusa” sul processo/montatura agli intellettuali dissidenti, tenuto a Belgrado nel 1985, che si concluse con dure condanne per reati di opinione.
Continuava così ad esprimersi la vocazione internazionalista che sempre ha caratterizzato il movimento anarchico locale. Un movimento che, davanti ad un desolante panorama politico, volle tenere vivo un pensiero non omologato con la creazione del Centro Studi Libertari, spazio di dibattito e ricerca culturale che trovò la sua collocazione in via Mazzini.
Il 1990 si aprì con un evento prodigioso: il convegno internazionale “Est, laboratorio di libertà”.

Est, Est, Est

1990, un libero incontro con il mondo dell’Est
Entusiasmante e piacevolmente ingombrante – assai più delle migliaia di fotocopie spaiate scritte da ambo i lati, non servono neanche per scriverci su, che ancora stazionano negli spazi reconditi della sede – è il ricordo ancora assai vivo di quelle giornate dell’aprile 1990.
Deciso al congresso della Federazione Anarchica Italiana, confermato nel luglio 1989, il gruppo Germinal avrebbe organizzato un convegno internazionale con lo scopo di incontrare e far incontrare le realtà anarchiche, libertarie, anarcosindacaliste che si stavano muovendo nei paesi dell’est, allora in grande fermento.
Avevamo da anni parecchi contatti con la Jugoslavia e poi c’erano tutti quelli della Commissione per le relazioni internazionali e dell’Internazionale delle Federazioni Anarchiche.
Trieste, dal punto di vista logistico era perfetta, da quello simbolico pure; noi abbastanza pazzerelle valutavamo al massimo, una cinquantina di partecipanti, anche meno. Ci sarebbe stato un gran lavoro di preparazione, di segreteria, di contatti, traduzioni, questioni burocratiche da sbrigare; c’era il sostegno attivo della Federazione. Un progetto ambizioso per un piccolo, piccolissimo gruppo – tre individui + due, talvolta – ma, seppure con parecchie difficoltà, contavamo di portarlo a termine.

Inaspettatamente, inopinatamente è “caduto il muro”
Il Gruppo Anarchico Germinal non era ancora pronto!
Ci siamo buttati. Abbiamo cominciato a lavorare come pazze, abbiamo chiesto l’aiuto a tutte le compagne e i compagni dappertutto, ci siamo inventati competenze che non avevamo, ognuna ha messo in gioco tutte le proprie potenzialità, ci siamo resi capaci, siamo riusciti a sgusciare tra le maglie poliziesche e burocratiche – per fortuna Schengen non esisteva ancora. Traduzioni, sintesi, lettere, ricerca di spazi per mangiare, dormire, incontrarsi. Man mano che passavano i mesi arrivavano sempre nuove adesioni, da tutto il mondo, un sacco di compagne e compagni sarebbero arrivati per questo primo incontro con i movimenti più o meno sotterranei che avevano resistito o erano nati nell’ambiente oppressivo e altamente repressivo dei “paesi comunisti”.
La sede viene ridipinta e sgombrata il più possibile, Fabio costruisce con i vecchi auricolari delle radioline a transistor un impianto per la traduzione simultanea, vengono affittati due teatri, uno nuovissimo i cui amministratori non avevano ben capito con chi avevano a che fare, l’USI mette a disposizione la sua sede, Oliver di Zagabria si trasferisce a Trieste per un paio di mesi per aiutarci. Il movimento anarchico a livello internazionale risponde ad una sottoscrizione e otteniamo l’obiettivo di pagare anche le spese di viaggio dei compagni e delle compagne dell’est, blocchiamo le stanze di quasi tutte le pensioni economiche della città e lo splendido ostello della gioventù appena ristrutturato, compagni e simpatizzanti mettono a disposizione le loro case, pavimenti compresi, Icio di Monfalcone e i figli della cucina di Udine e Pordenone preparano in sede il pranzo per non meno 300 persone durante le quattro giornate del convegno, traduttori e interpreti dalla scuola di lingue, interessatissimi e gratuitamente, vengono a lavorare insieme a compagne/i.
Dal convegno nasce un libro edito da Zero in Condotta, la risonanza è tale che il periodico anarchico inglese Raven pubblica un numero monografico sul convegno e tutta la stampa del movimento a livello internazionale ne parla.
Di tutte quelle compagne e compagni,dibattiti, progetti, contatti, non sappiamo esattamente cosa sia successo – le disillusioni, la guerra nei Balcani e certi fraintendimenti (e fiammate estemporanee) hanno sicuramente cancellato quell’esperienza in parecchie persone; Agnes, Alfonso, Marina, Franco, … non ci sono più.
Nuove relazioni sono state intessute con i movimenti della Slovenia, della Croazia….Dalle riviste e dai bollettini sappiamo che gli ideali e le pratiche anarchiche continuano a diffondersi nell’est europeo come in tutto il mondo, sempre osteggiate e represse dai poteri di ogni tipo, sempre vive e indispensabili.

Una sorta di appendice alla grande iniziativa internazionale si tenne nel settembre del 1990: per la prima (e unica) volta a Trieste si svolse un congresso nazionale della FAI con un centinaio di partecipanti divisi tra un piccolo teatro e la solita sede. Nell’occasione fu collocata la targa a Umberto Tommasini, in via Mazzini 39, nella casa in cui aveva vissuto negli anni Cinquanta.

1990: est laboratorio di libertà, “anarchia madre dell’ordine”

Anni Novanta e Duemila

Nel campo antibellicista e antimilitarista il gruppo Germinal aveva dato prova di una sorprendente capacità di mobilitazione e di efficace coordinamento. Nel gennaio 1991 la sede ritornò ad essere troppo piccola per le centinaia di persone che ruotavano attorno al movimento cittadino contro la Guerra del Golfo. Al primo bombardamento di Baghdad rispondemmo con uno sciopero e un corteo di varie centinaia di studenti che si ripropose ogni mattina per quasi una settimana. A Trieste inoltre si realizzò, il 15 febbraio, il primo sciopero generale contro la guerra (con corteo di 300 persone circa) che anticipò quello indetto dai sindacati di base in tutta Italia il sabato successivo; vari uffici pubblici rimasero bloccati.
Anche in questo caso il comitato promotore, a cui partecipavano decine di attivisti libertari, pacifisti e antimperialisti, ruotò attorno a via Mazzini 11, luogo automaticamente eletto da gruppi e individui che in quella guerra vedevano la “madre” della disastrosa situazione attuale.
E ancora la guerra, questa volta quella vicinissima in Jugoslavia, fu argomento di infiniti dibattiti, scritti, contatti. Al momento traumatico dell’inizio delle ostilità si cercò di confrontarsi con i libertari croati, serbi e sloveni in nome del comune ideale antinazionalista e antimilitarista; i compagni delle varie repubbliche jugoslave si trovarono a Trieste per la redazione di un volantone contro la guerra, che venne distribuito con enormi difficoltà nei luoghi di provenienza. Purtroppo qualcuno di loro era già stato contagiato dal prepotente clima nazionalista.
Parallelamente si sviluppò il fenomeno dei centri sociali. Si costituì il Collettivo Infrazione, composto da decine di anarchici, autonomi, punx e individualità, che si ritrovava settimanalmente in via Mazzini per agire sul bisogno condiviso di spazi sociali.

2000: in piazza contro la montatura poliziesca

Una nuova generazione
Nel giugno del 1992 il collettivo occupò una ex casa del popolo in disuso, di proprietà del PDS. Si trattava della prima occupazione in città di un centro sociale dopo quella storica del 1977. Al suo interno vennero effettuate diverse iniziative (fra cui l’incontro con il compagno Stefano del Fabbro, obiettore totale di Udine), e ma poi il PDS fece sgomberare e murare l’edificio, che tuttora è inutilizzato.
Sempre in quel periodo finì purtroppo l’esperienza di Radio Onda Libera. Perseguendo un progetto di egemonia dell’etere libero praticato in tutto il nordest, gli autonomi entrarono in massa nella radio. Se da una parte ciò provocò un indubbio rilancio del mezzo, dall’altra parte, come già era successo in occasioni simili, comportò uno scontro con la componente libertaria, formata dai compagni più giovani ancora troppo inesperti per gestire una situazione del genere con la dovuta lucidità. Gli anarchici pian piano abbandonarono la radio che, sotto altro nome, chiuse dopo pochi anni.
Ma la triste fine di quell’esperienza non fiaccò le iniziative libertarie e anarchiche...anzi!
Proprio dal gruppo ormai affiatato di giovani – con il sostegno dei compagni più scafati del Gruppo Germinal – partirono tantissime iniziative: dibattiti, continue affissioni di manifesti e adesivi, scritte, produzione di opuscoli, partecipazione a incontri e iniziative nazionali, solidarietà concreta ai compagni colpiti dalla repressione, presidi e anche azioni dirette fortemente simboliche, specie in chiave antimilitarista, che in qualche caso riuscirono a bucare l’informazione ufficiale. Venne organizzata anche una “pedalata sediziosa” in giro per la città (una sorta di critical mass ante litteram).

1997: presidio contro le perquisizioni,
esposizione di oggetti sequestrabili

Seppur in modo frammentario e caotico, ma anche fresco e iconoclasta, dopo anni si riaffermò una presenza visibile degli anarchici fra gli studenti.
Purtroppo il 1996 vide il rigurgito della presenza dei fascisti che effettuarono numerose aggressioni, spesso coperti dalla polizia.
Le attività non si limitarono, però, a contrastare fasci e sbirri. Venne attuata una campagna di solidarietà verso un compagno obiettore totale (il primo nella storia locale) con numerose iniziative sia in città che a Padova, in occasione delle udienze del processo. Molti inoltre diedero un grosso contributo alla Fiera dell’autogestione a Prato Carnico nel settembre del 1997.
L’accumularsi di tensioni dovute sia a ragioni interne al movimento anarchico triestino che a tutte le pressioni esterne, veramente da panico, portò alcuni compagni ad allontanarsi dall’attività.
Nel 1999, ci si mobilitò contro l’intervento dell’esercito italiano in Serbia. Proseguì l’attività culturale e di propaganda attraverso numerosi dibattiti che registrarono una discreta affluenza, nonostante l’asfissiante controllo della polizia che schedava tutti i partecipanti alle iniziative con pesanti intimidazioni. Una sera, alla conclusione di uno di questi incontri, si scese in gruppo e, di fronte all’ennesimo arbitrario controllo, salì il nervosismo e le voci si alzarono. Un compagno finì in ospedale per un malore dovuto alla tensione. L’episodio finì sui giornali e portò, per fortuna, ad un allentamento della pressione sbirresca.
Per il trentesimo anniversario della sede un momento di serenità ed allegria venne vissuto fra le vecchie mura di via Mazzini: una grande festa memorabile cena e varie altre iniziative collaterali videro un centinaio di compagni e compagne festeggiare con noi stipandosi in ogni angolo tra canti e libagioni.
L’inaspettata contestazione del vertice del WTO a Seattle di fine novembre vide gli anarchici in prima fila e ci fece volare con l’immaginario e con i sogni; di nuovo alcuni studenti medi fecero della sede il loro punto di riferimento e parteciparono alle attività. Si formò il Collettivo studentesco “Fragole e sangue”, che si trovò settimanalmente in sede per diversi anni.

2001: dopo il G8

Iraq, Cpt, biblioteca Tommasini...
Aggressioni e ferimenti da parte dei fascisti e una montatura poliziesca contro i giovani frequentatori di una piazza cittadina furono l’occasione di affollate assemblee in via Mazzini e di numerose iniziative di solidarietà.
La sede venne coinvolta nell’incredibile montatura costruita attorno ad un petardo fatto scoppiare nella vicina via Genova e rivendicato dai sedicenti Nuclei Territoriali Antimperialisti. Dei compagni accorsi a vedere cosa stava succedendo vennero fermati dagli sbirri che, nel giro di qualche ora, costruirono una macchina accusatoria che tormentò per vari anni alcuni giovani che rischiarono decine d’anni di carcere! I giornali si buttarono sul gustoso boccone e dedicarono paginone agli “anarcoinsurrezionalisti” locali. Alla fine tutta la bolla si sgonfiò e le “azioni” degli NTA risultarono essere l’opera di un mitomane, o presunto tale.
Una riuscitissima iniziativa su Fabrizio De Andrè, la forte mobilitazione in occasione del G8 sull’ambiente nel marzo 2001, Genova, la guerra all’Afghanistan: le attività di propaganda antistatalista, antimilitarista, la controinformazione ci impegnarono per mesi.

2007: contro lo sviluppo insostenibile

La propaganda militarista raggiunse livelli mai visti negli anni recenti. Si formò in sede un’“assemblea antimilitarista”, composta da anarchici e non, che diede vita a una presenza settimanale in piazza per vari mesi per volantinare e controinformare sulla ventata razzista e guerrafondaia dei media.
Gli anni successivi videro un ulteriore consolidamento dell’attività in varie direzioni: partecipazione alle mobilitazioni cittadine, presenza nei movimenti studenteschi, incontri e dibattiti.
Alla recrudescenza della guerra all’Iraq nel 2003 la città si mobilitò come mai visto da molto tempo: nel giro di cinque giorni tre cortei di migliaia di persone e uno sciopero dei sindacati di base.
Con le guerre si acuiscono anche razzismo e xenofobia: le iniziative sul tema dell’immigrazione diventano un nuovo campo d’azione politica e solidale che impegna compagne e compagni della regione specialmente riguardo al CPT di Gradisca d’Isonzo.
Nel 2005 vennero effettuati dei lavori di rinnovamento della sede. Venne sistemata e ampliata la biblioteca (che conta oltre duemila volumi), e a fine anno, con un bel ciclo di iniziative, venne inaugurata della Biblioteca Sociale “Umberto Tommasini”.
Le attività negli ultimi due anni si sono concentrate oltre che nella lotta contro il CPT anche nel sostegno alle lotte dei comitati popolari contro le devastazioni ambientali e le basi militari sia in regione che nel resto dello stivale.
Particolarmente significativo il corteo regionale del 12 maggio 2007, a Trieste, con oltre un migliaio di persone contro le politiche ambientali della giunta Illy.
Non dimentichiamo l’ennesima aggressione fascista sempre in maggio contro un presidio di protesta di senzacasa che vide un nostro compagno finire all’ospedale.
La notizia dello sfratto dalla sede – dopo un primo momento di scoramento – ci ha fatto organizzare in sede un’assemblea con parecchi inquilini dello stabile, per discutere su come resistere il più a lungo possibile.


Duri i banchi
Nel corso degli anni moltissime realtà hanno trovato al secondo piano di via Mazzini 11 (campanello “Germinal”) uno spazio in cui organizzarsi liberamente e costruire in maniera autonoma percorsi di riflessione critica e mobilitazione.
Fra le altre è significativo ricordare l’esperienza del collettivo studentesco Fragole e Sangue. Il collettivo nasce nel settembre del 2000 e l’anno successivo è tra i principali promotori a livello locale della lotta contro la “riforma Moratti”.
Insieme ad altri due gruppi studenteschi dà vita al Coordinamento Studentesco Triestino, che riuscirà a portare in piazza migliaia di persone… e in sede moltissimi studenti interessati ad approfondire, discutere, partecipare.
Costante è stato il tentativo di avvicinare le rivendicazioni degli studenti e quelle dei lavoratori, che ha portato a costruire momenti di mobilitazione comune, pur senza tradursi in una continuità di più ampio respiro.
Parallelamente all’esperienza con il Coordinamento, il collettivo Fragole e Sangue ha continuato ad agire in modo autonomo, concentrando la propria attenzione sulla questione militarista.
Sono stati anni di intensa attività, sia in opposizione alle guerre, da quelle sotto i riflettori a quelle “dimenticate”, sia riguardo alle connessioni tra il militarismo e il mondo della scuola e la vita quotidiana. Eravamo consapevoli di come questi argomenti venissero spesso percepiti come distanti dalla maggioranza degli studenti, con l’eccezione forse dell’aggressione all’Iraq, ma, anche in pochi, ci siamo sempre sforzati di costruire momenti di controinformazione e denuncia.
In tutto questo, è sempre stato fondamentale per noi avere un “campo base” a disposizione per qualsiasi necessità evenienza o emergenza, uno spazio libero, in cui sapevamo che “i padroni di casa” non avrebbero interferito. Un luogo dove poter fare striscioni, dove ciclostilare, dove passare le notti a preparare cartelloni e volantini. Per molti di noi, anche un posto dove sentirsi a casa.
Nel corso degli anni coloro che facevano parte del collettivo sono cresciuti, passando dalla scuola all’università o al mondo del lavoro, ma non perdendo la voglia di lottare.
Altre esperienze poi sono seguite; nuovi movimenti studenteschi, di carattere spesso molto estemporaneo, hanno visto la sede come uno spazio utile e utilizzabile. Ci sono da preparare i cartelloni, dove ci troviamo? Beh potremmo andare in sede al Germinal, tanto tu hai le chiavi no?

Giornali anarchici locali di inizio ’900


Una lettera di L. M.

Mi ricordo, ero in gita liceale.
All’università di Trieste avremmo dovuto incontrare Margherita Hack.
Avevo solo sedici anni.
Muovevo i primi passi semiseri (anche se motivati) nel cantiere anarchico.
Le idee in costruzione; le idee che devono diventare costruzioni.
Su di una parete della Facoltà di Ingegneria trovai un vostro manifesto.
Lo staccai e me lo misi in tasca. Ce l’ho ancora nel cassetto.

Sono passati anni; è cambiato quasi tutto.
Ho visto tragedie, ho provato grosse sofferenze, anche qualche piacere.
Qualche motivo buono di ilarità.
Volevo esprimere la mia ammirazione e stima nei vostri confronti. E ancora, volevo sentirmi parte di voi, di noi. Della preziosa fede nell’uomo, nelle sue radici. Nell’anarchia.

Un compagno, con gli auguri più grandi per ciascuno di voi.

12 ottobre 2007


dossier Germinal

Oltre la soglia
di Paola

Era un periodo in cui di certo non mi annoiavo – i primi anni ’70 – e, se ancora ero appisolata, si trattava di sonno agitato, vigile, con un desiderio di svegliarmi, quando, curiosa e carica di necessità, saltai in piedi per seguire il mio coniglio bianco, Patrizia, la mia compagna di scuola, e varcai la soglia di viamazzini11, la sede del Gruppo Anarchico Germinal.
Spesso mi chiedo che cosa sarei se non l’avessi fatto. Le compagne e i compagni possono capirmi. Attraverso quella soglia si è aperto un mondo smisurato, magnifico, pieno di persone e fatti che non avrei potuto nemmeno lontanamente immaginare – né conoscere altrimenti –, un mondo in cui continuo a vivere e a meravigliarmi. In cui continuo a crescere, a provare sentimenti forti, a incontrare sempre nuovi individui e stimoli, a rendermi capace e consapevole, a non darmi per vinta, rinnovando e ampliando ogni giorno il mio desiderio di libertà, inseguendo e inseguendo la mia utopia.
Ma non da sola. La condivisione con le compagne e i compagni – con qualcun@ da quel dì, con quelle/i giovani di adesso, e le centinaia che sono passate in sede, brevi pezzi di cammino, sempre intensi, anche conflittuali – di ideali, speranze, rabbia, iniziative, ansie, entusiasmi, delusioni e fisime, è la grande ricchezza, mia/nostra, che ho trovato in viamazzini11. E quante risate!
Oltrepassata quella soglia il gruppo e il movimento di Trieste – il ricordo tenero e così tanto da compagno di Umberto e le compagne e i compagni anziani –, il giornale, le riunioni a livello regionale e poi i convegni e i congressi della FAI, le manifestazioni nazionali, le riunioni internazionali. La repressione poliziesca e piciesca e gli attacchi dei fascisti. “Est: laboratorio di libertà” nel ’90.

1992: contro tutti i nazionalismi

L’incontro e gli incontri con le donne anarchiche proprio all’inizio degli anni novanta, Marina Padovese, un percorso – assai accidentato e intermittente – che avrei dovuto iniziare prima ma che continua, qualche volta mi pare in solitudine, e che ha lasciato tracce profondissime, importanti.
Le grandi stanze, il balcone, le montagne di carta, il ciclostile, i muri scrostati e ripitturati, la biblioteca, quei bei pavimenti di legno e l’acquaio di pietra tutto incrostato di vernice, le scritte, le cene sull’enorme tavolo, gli striscioni stesi a terra ad asciugare, i volantini e i manifesti, i libri e i prodotti di Urupia, il caffè dal Chiapas, i giornali, tantissimi, la posta, i vecchi vicini, il sarto che cuciva le bandiere, armadi, tavoli, sedie in continuo trasloco/regalo della vecchia dirimpettaia assassinata come in un romanzo di Dostoevskij.
Attraversata quella soglia non torno più indietro anche se tolgono le pareti.

Paola


dossier Germinal

Fenomenologia delle sedi
di Luigi

Una premessa è doverosa. Chi scrive ha alle spalle una militanza nel movimento anarchico relativamente recente. Perciò quanto in questo scritto si riferisce al passato remoto è più che altro basato su quella che potrebbe essere chiamata “l’esperienza collettiva”, ossia una serie di conoscenze e memorie condivise, frutto di quei meccanismi sociali di interiorizzazione che ci permettono di sentire come nostra anche una storia a cui non abbiamo in effetti preso parte. Tali meccanismi, che poggiano sulle frasi pronunciate durante le riunioni, sui racconti ascoltati durante i momenti di socialità, e simili, sono ciò che fa la differenza tra un agglomerato di esseri umani ed un gruppo, che è qualcosa di più dell’insieme delle parti che lo costituiscono essendo tenuto insieme da conoscenze pregresse, competenze condivise, sottintesi, simpatie, antipatie e tutta quella ragnatela di relazioni che caratterizza le realtà sociali di dimensioni rispettabili (ossia piccole).
Ebbene, una sede è precisamente il posto privilegiato dove una tale ragnatela viene a formarsi: non solo, quindi, il luogo dove darsi all’”agire politico” (che dovrebbe piuttosto essere la strada, o la piazza, o in un’ ottica che non ci appartiene il palazzo) ma soprattutto il luogo dove di questo agire politico vengono poste le basi attraverso l’inserimento del singolo in un contesto umano di propria scelta. Non possiamo dimenticare, infatti, che molto spesso l’adesione a questo o a quel gruppo o partito avviene solo parzialmente sulla base di un riconoscimento ideologico ed è pesantemente condizionata, invece, dal rapporto personale che si riesce ad instaurare con quanti vi appartengono, ed eventualmente dall’interesse che si prova per le specifiche attività che essi portano avanti. Ciò, ritengo, è particolarmente vero quando ci si riferisce a realtà di movimento, in cui in qualche modo la militanza politica viene a confondersi parzialmente con la stessa identità personale ( “ti presento Andrea, è anarchico”) o comunque occupa, una percentuale non trascurabile della vita delle persone.

1992: corteo antirazzista

Seconda casa
Insomma, possiamo dire che soprattutto in realtà come quella in cui ci muoviamo bisogna tenere fortemente in considerazione il fattore umano prima ancora che ideologico...e per fortuna, poichè ciò è indice di scarsa massificazione e di un alto livello di partecipazione individuale.
Con queste premesse, una sede diventa non più un luogo neutro dove incontrarsi, ma per chi vi fa attività è una sorta di seconda casa dove in qualche modo ci si riconosce (e di ciò abbiamo degli ottimi esempi in molti degli articoli di questo inserto) mentre per chi vi giunge per la prima volta è uno specchio di chi già la frequenta...per parafrasare un concetto ormai famoso, potremmo definirla un super-luogo.
Quanto detto finora ha una valenza generale. Notiamo però che il concetto stesso di sede sembra essersi molto evoluto in questi quasi quarant’anni che ci separano dall’apertura della “nostra”. Diverso contesto storico, diversa società, diverse le esigenze che i singoli cercano di soddisfare frequentandola, ed in generale sembra essere cambiato anche ciò che si ricerca dalla politica. A mio parere, il segno più forte in questa direzione è stato lasciato dall’esperienza dei centri sociali. Sotto l’influsso di questa realtà si è sbiadita e fatta labile, nel sentire collettivo, la distinzione stessa tra i luoghi della politica ed i luoghi dell’aggregazione, o per andare ancora più a fondo tra fare politico e aggregazione. Ciò, ovviamente, è dovuto ad una molteplicità di fattori difficilmente districabili. Da una parte c’è il dato di fatto, nudo e crudo, che nelle nostre città gli spazi non mercificati di socialità mancano, e che se si parte dal presupposto che fare politica sia per prima cosa rispondere alle proprie esigenze, allora anche frequentare “passivamente” un centro sociale è un atto politico. Tuttavia è pur vero che il senso di un centro sociale non consiste nell’avere a disposizione un posto dove poter andare a passare le serate chiacchierando amabilmente davanti ad un bicchiere. Vero. D’altra parte, si può forse pretendere che una persona qualunque, con una sensibilità magari genericamente di sinistra, che vede evaporare le proprie giornate tra lavoro,famiglia, a volte volontariato o politica, una volta esaurito tutto ciò trovi anche il modo di andare ad autogestirsi in modo perfettamente corretto l’ultima ora della settimana che gli rimane?

2007: manifestazione sindacale a Lubiana

Quali progetti per il futuro?
A questo punto la risposta anarchica ortodossa da dare è la seguente: se la tua vita non ti soddisfa, prenditela in mano, liberati dalle pastoie che ti attanagliano e spicca il volo... giustissimo, ma cosa ne facciamo di chi non ha la forza (o la voglia, o la possibilità) di fare niente del genere? È possibile evitare di dare giudizi di valore ed essere, in qualche modo, inclusivi (per usare un termine che tanto va di moda)? Tutte domande che in questo momento preferisco lasciare senza risposta, tuttavia mi premeva sottolineare l’esistenza della questione.
Inoltre, è importante confrontarsi con un dato di fatto piuttosto brutale, ed è che il livello di impegno che si può pretendere dai singoli militanti, al giorno d’oggi, sembrerebbe essere molto minore di quello di quarant’anni fa, anche facendo la tara alla componente “che belli i nostri tempi” dei compagni più esperienziati (=vecchi). È il caso di interrogarsi sulle cause. Credo che il gran numero di persone politicamente attive di quarant’anni fa permettesse di avere una vita sociale vivace e ricca anche solo frequentando attivamente una sede politica, mentre ciò al giorno d’oggi non è più possibile: maggiore dispersione, una società più atomizzata, il rischio di “vedere sempre le stesse facce” (per quanto care), la sensazione (diffusa in tutti gli strati sociali, in particolare grazie all’ottimo lavoro dei media) che il centro della società sia sempre e comunque altrove fanno sì che la “militanza” sia spesso solo una parte (anche se di solito molto importante) della vita di ciascuno.
Ritengo opportuno sottolineare che questo discorso è riferito a tutte le realtà che conosco, e non solo a quelle specificamente libertarie, i cui militanti anzi hanno forse un livello di coinvolgimento superiore alla media: tuttavia ogni gruppo si confronta con un “resto del mondo” con cui interagire e dentro il quale cercare di diffondere le proprie idee e le proprie pratiche...d’altra parte questi stessi aspetti, forse, possono essere un ottimo passepartout per la contaminazione: poiché ciascuno di noi entra in contatto con una molteplicità di persone delle più svariate tendenze anziché muoversi solo in territori già politicizzati, risulta forse più facile diffondere, ma forse ad un livello di coscienza piuttosto basso, la conoscenza di determinate idee, che lentamente possono acquisire rilevanza nella mentalità collettiva.
Tutto ciò ci porta ad una domanda: quali sono le nostre aspirazioni, desideri, progetti per il futuro? Quali caratteristiche deve avere una nuova sede e come ci proponiamo di utilizzarla? Il dibattito tra di noi è in corso, le idee sono millanta. Una sede al piano terra, con i relativi problemi di sicurezza ma con visibilità e accessibilità molto maggiore? Come valorizzare al meglio quell’importantissimo strumento che è la biblioteca? Come continuare le attività portate avanti in tutti questi anni? I giochi sono aperti...

Luigi

Su compagne e compagni, lettrici e lettori

Il Gruppo anarchico Germinal
scaglia la sua sottoscrizione!

La speculazione immobiliare si è abbattuta anche su di noi. La sede del Gruppo Anarchico Germinal e del Centro Studi Libertari di Trieste, come tutto lo stabile del resto, è stata venduta e i nuovi padroni, una grande impresa del settore, non ci ha rinnovato il contratto d’affitto che scade il 31 gennaio 2008.
Noi non abbiamo intenzione di andarcene finché non avremo trovato un posto adeguato per continuare la nostra attività che in quella sede è iniziata nel 1969 insieme ai vecchi compagni di cui, immeritatamente e inevitabilmente, ci sentiamo gli eredi.
In questi mesi abbiamo molto discusso sul da farsi, come fronteggiare un colpo così forte, come non cedere allo sconforto, come superare un ostacolo assai difficile per un piccolo gruppo che in quello spazio completamente autogestito e autofinanziato ha trovato la possibilità di esprimersi, di aprirsi e aprire a coloro che hanno a cuore un presente e un futuro più libero.
Vagliate diverse ipotesi, abbiamo concluso che solamente l’acquisto di uno spazio avrebbe potuto garantirci di continuare il nostro lavoro evitando i ricatti di sbirri e proprietari.
Soldi ne abbiamo pochi, non desideriamo finire tra le grinfie avide delle banche, vogliamo che la proprietà, collettiva, sia destinata anche nel più lontano futuro a realtà del movimento anarchico all’interno del quale siamo convinti di trovare sostegno e solidarietà, fiducia e coinvolgimento.

È un appello il nostro a darci una mano.
Abbiamo pensato di fornirvi varie opportunità per aiutarci:
— sottoscrivere tutto quello che potete, invitando tutte le persone che conoscete e che possano dimostrarsi solidali a fare altrettanto;
— prestarci una piccola somma ( mille-duemila euro) di cui non abbiate bisogno nell’immediato che ci impegniamo a restituirvi nel più breve tempo possibile;
— sostenerci nelle attività che realizzeremo nei prossimi mesi affinché la nostra presenza in via Mazzini 11 sia ben visibile e non venga dimenticata troppo presto;
— scatenare la vostra fantasia (ad esempio gruppi musicali o teatrali possono destinare i proventi di una serata per la sede…)

Le compagne e i compagni risponderanno positivamente, ne siamo sicuri; la nostra non è una sfida, è un percorso che ci sentiamo di intraprendere perché la generosità che il movimento sa esprimere è enorme, l’abbiamo sperimentata tutte/i, l’abbiamo praticata.

Gruppo Anarchico Germinal

Per l’invio delle sottoscrizioni è importante specificare la causale: “Germinal cerca casa”.
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via Mazzini 11 – 34121 Trieste

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Via Mazzini 11 – 34121 Trieste
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La sede è aperta il martedì dalle 19 alle 21 e il giovedì dalle 18.30 alle 21