rivista anarchica
anno 43 n. 384
novembre 2013


 

Per la valorizzazione del patrimonio culturale anarchico

Nei giorni 5, 6 e 7 dicembre 1969 a Torino, presso la Fondazione Luigi Einaudi, si svolse il convegno “Anarchici e anarchia nel mondo contemporaneo” a cui partecipò anche lo storico Pier Carlo Masini, con una relazione intitolata: “Una raccolta di pubblicazioni rare e non comuni per la storia dell'anarchismo”. Tale relazione conserva anche oggi una notevole importanza per il movimento anarchico e la cultura storica in generale, soprattutto per quanto riguarda la scoperta e la conservazione della documentazione relativa a eventi storici, anche locali.
Le parole di Masini, anche se datate storicamente, mantengono la loro attualità. Nel descrivere la Biblioteca Max Nettlau, da lui creata all'interno della propria abitazione (prima a Bergamo poi a Palazzago per la Secchia – Bg), scriveva: “Abbiamo indicato come tema della biblioteca i 'movimenti d'emancipazione': definizione che ci è sembrata più larga di quella di 'movimenti libertari' e meno consunta di quella dei 'diritti dell'uomo' anche se questo è pure il senso della qualificazione e specializzazione della biblioteca: raccogliere, conservare, ordinare, illustrare la documentazione attinente ai diritti di libertà, di dignità, di indipendenza dei lavoratori, delle donne, degli studenti, degli artisti, degli discriminati per lingua, razza, religione, sesso, età, istituzione, condizione sociale, fisica o psichica (...).
Un ventaglio di movimenti e di interessi: libertà personale e di gruppo, libero pensiero e libero amore, amicizia e riconciliazione dei popoli, utopia e riforme, tolleranza di religione e antireligione, revisione e dissenso, rivendicazione antiautoritaria e rivoluzione libertaria, vecchie bandiere come pacifismo, antimilitarismo, internazionalismo e nuove forme di contestazione, di eresia, di rifiuto, la antica e moderna suggestione di esperienze comunitarie autodirette, solidarietà e umanesimo, il discorso libertario riportato al centro della famiglia, della scuola, del partito, del sindacato, della chiesa. Tutto questo interessa alla Biblioteca”.
Per Masini la Biblioteca è contemporaneamente una centrale di propaganda e un servizio tecnico, che vuole essere ampio ed efficace, oltre che politicamente impegnato.
Nella relazione analizza le problematiche legate al lavoro di catalogazione e archiviazione illustrando il catalogo della Biblioteca di Bergamo. Descrive quali sono le direzioni che intende seguire, come la ricostruzione editoriale dei periodici di alcuni gruppi anarchici, tra cui Il Risveglio di Luigi Bertoni, Il Pensiero di Camillo Di Sciullo, L'Adunata dei Refrattari; ma anche pubblicazioni esterne al movimento anarchico, come Critica Sociale e l'Avanti!.
Altro fattore innovativo di cui Masini si fa portavoce (non dimentichiamo che la relazione in esame è del 1969) è la ricostruzione micro-filmica delle collezioni dei più rari periodici anarchici, socialisti e repubblicani. Tra gli esempi citati, le registrazioni magnetofoniche di testimonianze orali raccolte dall'Istituto Ernesto de Martino di Milano e dal Museo degli Esuli di Bergamo.
Le considerazioni di Masini, attualizzate e contestualizzate per la nostra epoca, sono da rileggere per una riflessione contemporanea sullo stato di biblioteche, fondazioni e archivi legati al mondo libertario, senza dimenticare il rapporto con gli studenti e le nuove generazioni. Sempre Masini scriveva: “Il nostro dramma, il dramma della nostra generazione delle o fra le due guerre, è quello di poter trasmettere senza paternalismi ma per naturale tradizione alla generazioni venienti ciò che abbiamo vinto e vissuto, ivi compresi i miti che abbiamo consumato con la nostra esperienza, gli errori che ci hanno coinvolti”. Insegnamenti validi ancora oggi, stimoli per rafforzare e proteggere dall'indifferenza e dall'usura i luoghi culturali del movimento anarchico e libertario.

Domenico Letizia
Maddaloni (Ce)

Lettera aperta della comunità rom di Vaglio Lise (Cosenza)

Vi è mai successo di essere massacrati di botte mentre andate al supermercato a comprare il pane per i vostri figli? Siete mai stati accusati di una cosa che non avete fatto?
A noi tutto questo succede da ormai un mese. Ogni volta che usciamo dal villaggio per andare a fare la spesa, su via Popilia veniamo aggrediti, picchiati, insultati da persone che dicono di volersi vendicare per aver subito dei furti.
Ci rivolgiamo proprio a queste persone, più che al resto della cittadinanza e a quanti nel quartiere ci hanno sempre dato affetto e ospitalità. Chiediamo a questi giovani se secondo loro è giusto che a pagare debbano essere padri di famiglia innocenti, uomini che si alzano all'alba ogni giorno per andare a vendere aquiloni e collanine sulle spiagge. Ai giovani che si aggirano intorno alle nostre baracche, armati di pistole, benzina e mazze da baseball vorremmo chiedere se a loro sia mai capitato di essere picchiati, perseguitati, incarcerati ingiustamente.
Evidentemente no! È chiaro che questi giovani non hanno mai provato questa esperienza terribile, altrimenti non si comporterebbero come si stanno comportando. Perché non è giusto né umano fare ad altri quel che non si vorrebbe mai subire sulla propria pelle.
A noi invece sta capitando. Ogni giorno viviamo nel terrore. E di notte non dormiamo, perché temiamo che qualcuno possa incendiare le nostre baracche, far del male ai nostri bambini. Una settimana fa, mentre passava davanti a una chiesa, un abitante del campo rom, un uomo che vive a Cosenza da quasi dieci anni e mai si è macchiato del minimo reato, è stato investito da una macchina. Dalla macchina sono scesi due giovani che, invece di soccorrerlo, si sono accaniti su di lui a colpi di mazze, spaccandogli la testa. È umano tutto ciò?
Alle istituzioni chiediamo sicurezza.
Ai parenti e agli amici di questi giovani che fanno le ronde, chiediamo di parlare con loro, spiegare che l'uso della violenza è sempre sbagliato, e che attaccare gli innocenti solo in base alle loro origini etniche è un crimine contro l'umanità.

Comunità rom del campo di Vaglio Lise
Cosenza, 5 settembre 2013


Prosegue il dibattito su
Libertà senza Rivoluzione”

Prosegue il dibattito sul volume Libertà senza Rivoluzione di Giampietro “Nico” Berti (Piero Lacaita Editore, Bari 2012), di cui abbiamo ripreso qualche stralcio in “A” 377 (febbraio).  Sui numeri successivi sono intervenuti Franco Melandri e Domenico Letizia (“A” 378, marzo), Luciano Lanza e Andrea Papi (“A” 379, aprile), Luigi Corvaglia e Alberto Ciampi (“A” 380, maggio), Marco Cossutta e Salvo Vaccaro (“A” 381, giugno), Persio Tincani e Fabio Massimo Nicosia (“A” 382, estate), Enrico Ferri e Antonio Cardella (“A” 383, ottobre) e ora Cosimo Scarinzi e Francesco Codello.
Il dibattito è naturalmente aperto a chiunque intenda intervenire, con il limite delle 6.000 battute spazi compresi.



Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/13

Cosimo Scarinzi/La fortezza è occupata e noi siamo franchi tiratori

So che non si dovrebbe quando si tratta dell'opera di altri fare cenno a se stessi, e che un simile comportamento può sembrare autocelebrativo. Tuttavia, la lettura del ponderoso libro di Giampiero Berti mi ha indotto a tornare con la mente a vicende minori vecchie di decenni che paradossalmente sembrano anticiparlo.
All'inizio degli anni '70 mi capitò, parlando in piazza Firenze a Milano con Dada Maino – che scoprii anni dopo essere una famosa pittrice ma che allora conoscevo solo come militante del gruppo Azione libertaria – di rilevare che l'anarchismo affondava le sue radici nel liberalismo mentre il socialismo di stato era lo sviluppo della democrazia giacobina, e di notare da parte sua uno sguardo fra l'irridente e il corrucciato, non so se per la tesi in sé o per l'entusiasmo giovanile che mostravo nel sostenerla.
Oltre vent'anni dopo, quando la stagione delle speranze rivoluzionarie era ormai oggetto di memoria, Maurizio Marotta, un compagno del gruppo Comidad di Napoli, mi fece rilevare, riferendosi all'affermarsi in campo anarchico di posizioni che lui definiva – anch'egli con qualche ragione – occidentaliste, che la fortezza era occupata e che noi eravamo ormai dei franchi tiratori. Immagine che trovai affascinante: dei rivoluzionari non solo senza rivoluzione ma senza nemmeno un movimento, un ambiente, un discorso condiviso rivoluzionario. Immagine, lo ammetto, che suscitava una sorta di bizzarro orgoglio.
Tutti questi pensieri e altri mi sono passati per il capo mentre leggevo il libro di Giampietro Berti, un libro di un genere che di questi tempi capita raramente di leggere visto che si propone, con ogni evidenza, il compito di fondare una teoria politica, cosa che in campo anarchico, e non solo in campo anarchico, non mi pare sia usuale.
Dato che si tratta di un testo che tocca molti argomenti, sceglierò, in maniera inevitabilmente discutibile, due questioni che mi sembrano meritevoli di interesse.
La prima è, ma solo in apparenza a mio avviso, stilistica. Nico Berti scrive in uno stile riflessivo, analitico, disteso, equanime tranne che in un caso, e cioè quando tratta di coloro che si vogliono rivoluzionari.
Quando (p. 49) si parla di “delirio dell''uomo nuovo'” o (p. 76) si fa riferimento alla “violenza criminale”, quando (p. 153) si afferma “solo un anarchico cretino e irresponsabile, succube della superstizione rivoluzionaria, può ritenere che una qualsiasi dittatura sia equivalente a una qualsiasi democrazia o a un qualsiasi liberalismo, solo un anarchico cretino e irresponsabile, succube della superstizione rivoluzionaria, può ritenere che Aldo Moro sia accomunabile ai suoi assassini” è evidente uno scarto stilistico che corrisponde, almeno a mio avviso, a un problema di teoria politica.
Se, infatti, come Nico Berti sostiene, una rivoluzione è impossibile e non desiderabile e, per sovrammercato, il movimento anarchico realmente esistente conta da decenni come il due di coppe a briscola quando briscola è bastoni, perché adirarsi in tale misura contro i pochi sconsiderati che la vedono diversamente?
Si noti bene: chi scrive, che sarà magari per altre ragioni cretino e irresponsabile, non pensa affatto che il Cile di Pinochet fosse equivalente a quello attuale e anzi ritiene che si debba operare perché la libertà di espressione, azione, organizzazione anche nel quadro della società statale e capitalistica sia una conquista fondamentale al cui allargamento si deve attivamente operare.
Nello stesso tempo crede, e faccio solo un esempio, che vicende come quella della lotta armata in Italia non si possano spiegare ricorrendo solo o principalmente a strumenti interpretativi di tipo psicoanalitico o, peggio, a giudizi sul quoziente intellettuale di chi ne fu attore e che, magari, una ricostruzione storica puntuale che tenga conto, anche in questo caso faccio solo un esempio, della stagione delle stragi di stato non guasterebbe.
La seconda è contenutistica e ci riconduce alla premessa: per Nico Berti l'anarchismo non è pianta di ogni clima ma prodotto di una e una sola civiltà, quella occidentale.
Ora, sul piano della storia delle idee, questa tesi può essere considerata elegante non fosse altro perché opera una notevole semplificazione di una storia complessa e contraddittoria anche sul piano dell'elaborazione teorica oltre che su quello, che continuo a ritenere prioritario, dell'azione pratico sensibile.
Peccato però che crolli come un castello di carte di fronte, ad esempio, al semplice fatto che tale Michail Aleksandrovic¨ Bakunin, che con l'anarchismo mi risulta qualche relazione l'abbia pur avuta, ha formulato una teoria della rivoluzione che prevede un ruolo centrale per le masse contadine, in particolare anche se non solo russe, non dopo previo addestramento al capitalismo alla civiltà occidentale ma contro questo processo e di anarchismi meticci di questa sorta ve ne sono stati diversi, si pensi alla rivoluzione messicana, al piano di Ayala e a Emiliano Zapata e ritengo altri ve ne saranno.
Sia ben chiaro, non voglio opporre l'autorità di Bakunin a quella di Berti, piuttosto vorrei far rilevare che o una teoria politica ha un valore generale o qualche problema si pone.
Per stare sul terreno proposto dallo stesso Berti, la teoria politica liberale che riserva il godimento della pienezza dei diritti sociali solo a una classe sociale e, di quelli politici solo a una parte della specie non è affatto andata in crisi di fronte al fatto che la liberale Inghilterra possedesse un gigantesco impero coloniale i cui abitanti erano esclusi dalla libertà politica per la sua intrinseca natura di classe e di élite.
Una teoria politica libertaria non gode dello stesso privilegio, o si propone l'emancipazione della specie, di tutta la specie o, non se ne abbia a male Berti, non è di alcuna utilità e interesse.
Ovviamente quest'obiettivo, che di norma si chiama rivoluzione ma io non mi appassiono ai termini, è una scommessa e, se vogliamo, un criterio regolativo in mancanza del quale sarebbe forse opportuno dichiararsi liberali, ma questa è una scelta che non si può imporre a nessuno.

Cosimo Scarinzi



Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/14

Francesco Codello/Criticare facile, confutare, invece...

L'anarchismo fra la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo: questo l'oggetto principale dell'analisi di Giampietro Berti in questo poderoso volume destinato a passare alla storia del pensiero anarchico e a far discutere per molto tempo ancora. Impossibile dar conto delle tante tesi contenute nel libro in modo soddisfacente visto l'esiguo spazio a disposizione. Bisogna premettere comunque che è necessario tenere separate due opzioni: la critica (sempre legittima e utile) e la confutazione (l'opporre cioè a una tesi un'altra tesi fondata su dati di fatto e pragmatismo). Non sempre, cosa peraltro ben comprensibile, ciò è avvenuto anche nei confronti di questa ricerca così sostanziosa e documentata.
La conclusione di Nico Berti è un de profundis irreversibile per l'anarchismo (così come storicamente si è arenato il movimento) e uno spiraglio di possibilità per l'anarchia (l'anima universale dell'idea). Con la sconfitta (fallimento) del comunismo, il trionfo del capitalismo, anche l'anarchismo si sente male, non è più dentro ma contro la storia, ma semplicemente fuori dalla storia. A condannare definitivamente l'anarchismo, secondo Berti, è la sua essenza rivoluzionaria che, di fatto, impedirebbe allo stesso di poter perseguire la libertà, per una varietà di ragioni e di riflessioni che qui non è possibile riassumere e per le quali non mi resta che rimandare alla lettura del testo. L'anarchismo dunque dovrebbe abbandonare la sua dimensione apologetico-rivoluzionaria: l'idea di edificare un uomo nuovo, distruggere definitivamente la società illuministica e borghese, in sintesi annientare quel percorso storico che si definisce come Modernità. La sua unica possibilità di salvezza, sempre secondo il nostro autore, starebbe nel partire da dove è arrivata la democrazia occidentale, dalle sue conquiste, dalle sue inalienabili libertà.
La critica che gli interventi precedenti hanno mosso al testo bertiano è stata puntuale, chiara, decisa, variegata e ricca di spunti di discussione. La critica appunto, non sempre così, mi pare, la confutazione. Prima considerazione che Berti sviluppa sulla quale occorre riflettere perché da essa deriva gran parte dell'impianto argomentativo del libro: il capitalismo, a differenza del comunismo (e dell'anarchismo) è un evento e non un progetto. Ciò significa che mentre il capitalismo si è imposto naturalmente, sta dentro lo sviluppo naturale delle cose, il comunismo (e quindi anche l'anarchismo) è il frutto di una deliberata azione di progettazione e di realizzazione degli uomini e delle donne. Questa affermazione, mi pare, non solo non è suffragata da dati e da argomenti forti, ma è, secondo il mio punto di vista, sostanzialmente errata. Essa trascura tutte le poderose ricerche storiche, antropologiche, geo-politiche che, dati alla mano, hanno analizzato quella che, da Marx in poi, è stata definita la “cosiddetta accumulazione originaria”, vale a dire quel processo di colonizzazione e di sfruttamento, intriso di una violenza senza precedenti, che ha caratterizzato la nascita del capitalismo. Sostenere che il capitalismo è un evento, significa, di fatto, accreditarne una sua naturalità e quindi giustificare la sua vittoria (giustificare è ideologico; non negarla, fino a ora però, è incontrovertibile). Attenzione però che le crisi, che sono intrinseche al capitalismo e ricorrenti, permettono (non automaticamente ovviamente) di liberare energie e immaginari alternativi e diversi.
Seconda considerazione: la democrazia è un prodotto dell'occidente illuministico europeo e costituisce il massimo (e insuperabile, Nico?) livello di libertà che la società ha prodotto e, quindi, non solo va difesa e salvaguardata, ma anche assunta come paradigma di civiltà nei confronti del resto del pianeta. A parte il fatto che, anche qui, autorevoli e puntuali studi, hanno dimostrato che la democrazia (intesa come pratica di partecipazione e di esercizio delle decisioni) non è stata, e non è neppure adesso, una esclusiva prerogativa europea e occidentale (Clastres, Graeber, Sen, ecc.), come forma di governo, sia nella sua versione roussoniana e giacobina e socialista, che populista e demagogica ammantata di liberalismo, ci ha proposto orrori altrettanto nefandi, perché, tutto sommato, si fonda sull'accettazione della logica escludente della maggioranza impedendo, di fatto, ogni diversità e pluralità concreta di espressione. La democrazia non può costituire l'orizzonte dell'anarchismo, perché l'anarchia è un al di là, un qualcosa di più e di diverso, della democrazia, anche se, e qui condivido pienamente l'idea bertiana, democrazia e totalitarismo non solo non sono la stessa cosa, ma solo da un ampliamento e uno spostamento estremo delle libertà democratiche è possibile intravedere una società più libertaria, alzare cioè quel tasso di anarchismo che è già presente (Colin Ward) dentro le maglie soffocanti della società del dominio. In altre parole ciò che intendo sottolineare è che la democrazia non è la soluzione (casomai una soluzione) ma è un problema (nel senso che la sua messa in pratica apre una infinità di altri problemi).
Terza considerazione: se è definitivamente tramontata l'illusione (non la possibilità) che la Rivoluzione possa edificare una società più libera e più giusta, è altrettanto vero che senza una rottura radicale, che si traduca in comportamenti quotidiani coerenti, con l'immaginario sociale dominante, nessun cambiamento degno di questo nome sarà mai possibile. Premesso tutto questo a partire da qui si dovrebbe, a mio avviso, discutere e verificare possibili confutazioni al testo di Berti.
Lo spazio non mi permette di approfondire ulteriormente un ragionamento pacato, non ideologico, su molti altre questioni che il libro solleva. Un testo destinato a rappresentare un livello acuto e alto di riflessioni che meritano tutta la nostra considerazione e il nostro ringraziamento a chi lo ha scritto.

Francesco Codello



Meglio libri

Editori Indipendenti in Scighera 2013. Cosa c'è meglio di un libro?
A Milano, in Scighera, con la collaborazione di Edizioni Elèuthera, si apre la prima edizione di una fiera per incontrare il meglio degli editori indipendenti, case editrici che si muovono fuori dalla logica dello stretto guadagno commerciale e scelgono i titoli da pubblicare rispettando quello in cui credono e che reputano bello e importante. Sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre, dalle 14.00 in poi, vi sarà l'esposizione delle case editrici insieme a presentazioni, reading e musica. E naturalmente i vini della Scighera e le incursioni culinarie della Locanda dell'Assurdo.
Il programma è in corso di elaborazione, ma hanno già aderito le seguenti case editrici: Agenzia X, Ambiente, BFS, DeriveApprodi, Due Punti, ek records, Elèuthera, La Fiaccola, Galzerano, Milieu, Nautilus, Nova Delphi, Ortica, Quodlibet, Sensibili alle foglie, Sicilia Libertaria, Stampa Alternativa, Zero in Condotta, La Baronata, O barra O. E altre sono in arrivo. Meglio libri insomma (che male accompagnati!).

Circolo Arci La Scighera, via Candiani 131, Milano,
(lascighera.org)





I nostri fondi neri

Sottoscrizioni. Alfredo Mazzucchelli (Carrara) 400,00; Massimo Teti (Roma) 10,00; Igor Cardella (Palermo) 10,00; a/m Musica per “A”, Enrico Bertelli (Ponzano Veneto – Tv) 250,00; Claudio Paderni (Bornato – Bs) 40,00; Gianandrea Blesio (Botticino Sera – Bs) 20,00; Veronica Pacini (Osimo – An) 10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia Pastorello e Alfonso Failla, 500,00; Giovanni Orru (Nuoro) 20,00; Matthias Durchfeld (Reggio Emilia) 25,00; Sergio Pozzo (Arignano – To) 20,00; Pina Mecozzi (Grottammare – Ap) 10,00; a/m Fausto Saglia (Ghiare di Berceto – Pr) sottoscrizione tra compagni e simpatizzanti della Val di Taro, 250,00; Alberto Ciampi (San Casciano Val di Pesa – Fi) ricordando Giampaolo Verdecchia, 10,00. Totale € 1.575,00.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, trattasi di euro 100,00). Patrizio Quadernucci (Bobbio – Pc); Antonio Meloni (Fara Gera d'Adda – Bg). Totale € 200,00.