rivista anarchica
anno 43 n. 383
ottobre 2013


 

Dibattito zapatismo 1/Ma c'è a sinistra chi vuole solo il potere

Ci piacerebbe fare chiarezza su alcuni punti rispetto alla critica di Orsetta Bellani (pubblicata sullo scorso numero di “A”) a proposito del riferimento all'Ezln e all'Altra campagna nell'articolo “Lettera dal Sud America” pubblicato sul numero 376 (dicembre 2012 - gennaio 2013) di “A”.
Come prima cosa vorremmo dire alla compagna che concordiamo sull'importanza delle pratiche concrete delle comunità zapatiste e che il loro pensiero è stato un importante punto d'affermazione di idee con le quali noi anarchici saremo sempre d'accordo: la negazione della conquista del potere, l'autonomia, l'autogoverno, l'orizzontalità e l'autogestione. Ma soprattutto l'unione di etica e politica che vuol dire, per noi anarchici, coerenza tra fini e mezzi.
Il fatto che appoggiamo, dimostriamo la nostra solidarietà e condividiamo concetti importanti del pensiero zapatista non vuol dire che siamo d'accordo in tutto, né tantomeno che stiamo perdendo il nostro spirito critico. È necessario inoltre stabilire una differenza tra le pratiche zapatiste nelle comunità autogestite che stanno costruendo un “altro” mondo in un territorio determinato, (i cinque caracoles autonomi), e le iniziative politiche dell'Ezln volte alla costruzione di alleanze, in Messico e nel mondo. E con l'Altra campagna, come con altre iniziative precedenti, l'Ezln cerca di sconfiggere la solitudine che vive in Messico, uscendo dalle foreste del sudest per provare a instaurare nuovi dialoghi e nuove alleanze.
Bellani dice di non essere d'accordo quando affermiamo che “... l'ultima fase degli zapatisti di guardare non verso il basso come hanno fatto finora, ma piuttosto che con l'Altra campagna hanno percorso il Messico guardando in basso e a sinistra” né tanto meno concorda quando diciamo che: “... porsi non sotto ma sotto e a sinistra vuol dire mantenere una categoria vincolata alla forma stato che serve per continuare a riprodurla”.
I concetti di sinistra e destra non sono propri della cultura delle comunità indigene, sono categorie nate durante la rivoluzione francese le cui posizioni, anche se in modo opposto, aspirano alla conquista del potere. Siamo convinti di non poter classificare i diseredati e gli emarginati tra chi si trova a sinistra e chi a destra. È la configurazione della società dominante ed egemonica che classifica in sinistra, centro e destra, perché ci si esprima elettoralmente affermando in questo modo un modello gerarchico, verticale e centralizzato. Ciò nonostante queste categorie non sussistono quando chi viene dal basso prende in mano la propria vita, quando si aspira a un'altra società diversa, a un mondo nuovo.
Crediamo che la proposta in basso a sinistra sia confusa e vada nella stessa direzione di chi in realtà aspira a conquistare il potere e pertanto a stare sopra. Ossia, propongono forme di azione che riproducono la logica dello stato e delle istituzioni create secondo questo modello.
La sinistra è rappresentata da giacobini autoritari, da socialdemocratici e leninisti di diverso tipo, e tutti aspirano a dirigere e a governare il popolo con un colpo di stato, le elezioni o una rivoluzione violenta.
In America Latina, Messico compreso, la sinistra è in maggioranza socialdemocratica o in qualche modo leninista. Tutti loro ritengono che il fine giustifica i mezzi, e le ragioni del partito e dello stato, quando sono al potere, si trovano al di sopra dei bisogni e delle necessità del popolo.
Nel nostro continente i socialdemocratici o fanno parte dei cosiddetti governi progressisti e di sinistra o rappresentano l'alternanza governativa. L'altro settore della sinistra, il versante leninista, con l'eccezione di Cuba e del Venezuela in cui sono al potere, sta all'opposizione e con loro si è ritrovata l'Altra campagna nella questione del dal basso e a sinistra.
Come camminare insieme a chi aspira a un ruolo dirigente nella lotta anticapitalista e ha l'unico obiettivo della conquista del potere? Come si possono mischiare le pratiche orizzontali e autogestionali con quelle che difendono il centralismo democratico?
Nel dicembre del 2012 l'Ezln informa della chiusura dell'Altra campagna, affermando che “A partire da ora la nostra parola inizierà a essere sellettiva a proposito del destinatario”. In un comunicato del 26 gennaio 2013, riferendosi ad alcuni membri dell'Altra campagna, dice che “si sono avvicinati per trarne dei rendiconti politici” o per scavalcare gli altri; e conclude dicendo “che non torneremo più a camminare con loro”.
Riteniamo che il concetto di sinistra e le sue tradizioni, anche se dal basso, non sembrano essere molto utili per pensare e costruire una nuova realtà, “un mondo dove ci possano essere altri mondi”, come dicono gli zapatisti.

Taller Anarquista
(Laboratorio Anarchico)
Montevideo - Uruguay
traduzione dal castigliano di Arianna Fiore

Dibattito zapatismo 2/ Le parole non cambiano la sostanza

Sono d'accordo sull'importanza di non perdere lo spirito critico e mi sembra molto interessante la vostra riflessione sul fatto che il termine “sinistra” sia un concetto che nulla ha a che vedere con la cosmovisione indigena. Penso sia quindi pertinente criticare gli zapatisti per l'utilizzo del termine “sinistra”, ma non credo che il suo impiego snaturi di fatto un movimento che non aspira alla conquista del potere né propone forme di azione che riproducono la logica dello stato. Le parole sono molto importanti, ma secondo me non abbastanza da cambiare la sostanza di un programma politico e di una pratica quotidiana che sono antiautoritari e apartitici.
I principi che muovono la Otra Campaña riprendono in tutto e per tutto quelli zapatisti, con lo scopo di mettere in rete i movimenti di tutto il mondo che si ritrovano in essi. A causa del carattere aperto della Otra Campaña è possibile che tra gli aderenti ci siano collettivi o associazioni vicine ai governi socialisti o socialdemocratici latinoamericani. Immagino che se lo affermate è perché ne avete esperienza.
Nel vostro contributo al numero 376 di “A” scrivete che “nell'ultima fase, gli zapatisti hanno smesso di guardare verso il basso come avevano fatto finora, ma lo hanno fatto guardando in basso a sinistra. Ciò li colloca in uno spazio politico, quello della sinistra radicale, più o meno ortodossa e leninista, in cui vengono reiterate le politiche che gli stessi zapatisti hanno criticato nel tempo. Inoltre, trovarsi non in basso ma in basso a sinistra, vuol dire continuare ad avere una categoria vincolata alla forma stato che serve alla sua riproduzione”.
L'affermazione è secondo me incorretta, forse andrebbe circoscritta ad alcune realtà (non certo tutte) che hanno aderito alla Otra Campaña.

Orsetta Bellani
La Spezia

L'Alfama vive, Firenze muore

L'Alfama è un quartiere nel centro di Lisbona. L'Alfama è un villaggio in una capitale d'Europa, di quell'Europa che stenta a tenere il passo in un mondo che si fa sempre più globale.
Da un paio d'anni vivo all'Alfama e assisto quotidianamente a un miracolo: una non curante partecipazione a un mondo che cambia per ritrovare se stesso.
Sotto casa ha il negozio Emanuel. Emanuel fa il barbiere, nel senso tradizionale del termine. Lui taglia i capelli e rade la barba come si faceva nel secolo scorso. Inumidisce i panni e affila la lama, poi con un sorriso satanico passa la lama sul viso dei clienti con il solo obiettivo di non lasciare indietro neanche un pelo. Tutte le volte che vado da Emanuel guarda i miei capelli e mi dice che sono fortunato ad avere ancora così tanti capelli, e che solo un professionista come lui sa tagliarli. Quindi inizia il meticoloso lavoro della barba e dei capelli, assentandosi ogni dieci minuti.
Da Emanuel vado con Giacomo e Giovanni. A Giacomo Emanuel dà una spuntatina, perché Giacomo vuole i capelli lunghi, a Giovanni fa la cresta. Due modi di essere nei quali mi specchio: per essere teneri occorre essere un po' tamarri.
Emanuel si assenta ogni dieci minuti per due ragioni, una è nel retro bottega, l'altra è dallo Ze. Quella del retro bottega me la mostra con orgoglio: con un fornelletto da campeggio si prepara il pranzo. A suo dire più buono di quello che si può trovare nella migliore tasca dell' Alfama: carne di vacca in brodo. Le visite allo Ze da parte di Emanuel sono segnate dal naso rosso e dai pronunciati capillari sulla guance. Ma come se questo non bastasse, quando mi si avvicina nel lavarmi la testa, vengo tramortito dall'intenso profumo di vino dell'alentejo. Ovviamente fa parte del prezzo e sostituisce la desueta acqua di colonia.
Lo Ze gestisce un alimentari, di quelli del secolo scorso per intenderci, dove trovi di tutto. Lo Ze è uno di quelli di cui ti fidi per definizione. Quando vado a fare la spesa controlla sempre la frutta che metto nel sacchetto e se non è buona me la sostituisce. Tempo fa un tizio mi ha centrato la macchina mentre era parcheggiata davanti al suo negozio. Lui conosce il tizio ed è uscito per suggerire di lasciarmi un biglietto, quindi che si è fatto carico di farmelo avere.
Una sorta di giustizia senza legge.
Emanuel va dallo Ze a farsi il cicchetto e lo Ze va da Emanuel a tagliarsi i capelli. Temo che il conto sia a favore dello Ze, ma questo non impedisce di essere amici.
Una sorta di economia senza soldi.
Emanuel il barbiere e lo Ze il fruttivendolo vanno dallo Ze il lattaio a farsi il caffè. Dallo Ze lattaio gira l'intera Alfama occidentale, quella Sao Joao da Praca. Alla mattina quando esco per andare al lavoro mi faccio un caffè dallo Ze il lattaio e generalmente incontro Joao. Joao dalla tenuta dovrebbe fare il muratore, ma da quando conosco le sue abitudini il dubbio è diventato certezza. Joao si fa un bicchiere di vino alle 8 del mattino. A fare colazione c'è sempre Carla che affoga “o dulce de Deus na meia de leite” e c'è Maria, la mia vicina di casa, che baratta un pequeno almoço con la pulizia del locale.
Emanuel il barbiere, lo Ze lattaio e lo Ze fruttivendolo parlano con me, Gianluca l'italiano di Facebook e tra di loro di José che è finito un'altra volta in galera per aver rubato i documenti a dei turisti. In fondo penso che stiano parlando della stessa cosa, del furto delle generalità di una persona, con la differenza che Zuckerberg di Facebook non finisce in galera ma diventa ricco.
Ero a Firenze qualche settimana fa e la sera passeggiavo per il centro, con occhio attento cercano di vedere il lavoro fatto in questi anni dal probabile futuro primo ministro. Mi ha sinceramente stupito vedere uno dei fiori all'occhiello dell'Italia ridotta ad una vetrina senza anima.
Una città vuota di persone piena di gente.
Intendiamoci, non è certo colpa di Renzi ma...
Ho percorso via Nazionale, in centro ma appena fuori dai percorsi turisti e sono arrivato nella comunque centralissima piazza dell'Indipendenza, una piazza poco curata, sporca.
Se è vero, come credo, che l'opera di un sindaco non si misura solo con le piazze sporche allora chiedo a chi vive con gli emarginati ai bordi della città cosa ne pensa di Renzi. Conosco da alcuni anni delle associazioni fiorentine che operano nei quartieri periferici di Firenze. Ne esce un quadro preoccupante di Renzi, come di uno poco attento hai bisogni degli ultimi, quelli che arrancano dietro un'Europa che stenta a tenere il passo in un mondo che si fa sempre più globale.
Ma è questa l'Italia che vogliamo? Un'Italia senza anima capace di curare solo le vetrine.
Il mio non è un giudizio definitivo ma un'impressione. In questi anni di non voto, ho riconquistato una certa verginità politica, e ho intenzione di approfondire quello che i candidati hanno fatto quando hanno governato. Insomma, giudicare quello che prometteranno di fare sulla base di quello che hanno fatto.
L'Europa, il Portogallo, Firenze per come li conosciamo oggi potranno anche sparire e con loro tutti quelli che hanno venduto l'anima inseguendo il sogno di un progresso che dovrebbe farci tutti oziosamente godere i frutti di un benessere che ci uccide. L'Alfama nella sua lenta operosità invece è viva, perché in fondo non insegue nessuno se non se stessa.

Gianluca Luraschi
gianluca.luraschi@gmail.com


Prosegue il dibattito su
Libertà senza Rivoluzione”

Prosegue il dibattito sul volume Libertà senza Rivoluzione di Giampietro “Nico” Berti (Piero Lacaita Editore, Bari 2012), di cui abbiamo ripreso qualche stralcio in “A” 377 (febbraio).  Sui numeri successivi sono intervenuti Franco Melandri e Domenico Letizia (“A” 378, marzo), Luciano Lanza e Andrea Papi (“A” 379, aprile), Luigi Corvaglia e Alberto Ciampi (“A” 380, maggio), Marco Cossutta e Salvo Vaccaro (“A” 381, giugno), Persio Tincani e Fabio Massimo Nicosia (“A” 382, estate) e ora Enrico Ferri e Antonio Cardella.
Il dibattito è naturalmente aperto a chiunque intenda intervenire, con il limite delle 6.000 battute spazi compresi.



Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/11

Enrico Ferri/Né comunismo, né liberalismo, né capitalismo. L'anarchismo è differente

Il programma della riflessione è fissato nella premessa: i fasti dell'anarchismo si collocano nel periodo che va dalla Prima Internazionale (1864) alla rivoluzione spagnola del 1936-39. Dalla fine della seconda guerra mondiale al '68 si assiste al venir meno del movimento anarchico; dal '68 ad oggi “tale disgregazione si è ulteriormente accentuata”, fino alla “completa dissoluzione”. Ne discende, per Berti, che se l'anarchismo – pensiero e movimento – vuole avere un ruolo nel presente e nel futuro, deve fare i conti con la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo.
Mi sembra riduttiva e, in ultima istanza, fuorviante la definizione/caratterizzazione che l'autore dà dell'anarchismo e della sua stessa storia. È difficile dire quando cominci la storia del pensiero anarchico e quale sia stato il primo atto coscientemente anarchico nella storia. L'anarchismo ha una matrice classico-umanistica (non quella della “civiltà occidentale”, che esiste solo sui libri): una visione positiva e ottimistica dell'uomo quale essere fondamentalmente socievole e cooperante, capace di autoregolare la sua esistenza, in modo cooperativo, solidale, non coercitivo, al di fuori della logica servo-padrone, delle gerarchie. È una forma di democrazia diretta in cui l'individuo è spinto a partecipare, a prendere posizione, a decidere, a difendere le sue decisioni, a identificare nello stesso soggetto (il popolo, inteso come insieme di individui differenziati) il governato e il governante.
Quella dell'anarchismo è un'antropologia di segno positivo per cui ogni uomo è ritenuto capace di promuovere e garantire lo sviluppo integrale dei molteplici aspetti della sua persona, accanto e con la cooperazione (e, se necessario, in aiuto) degli altri uomini.
All'ottimismo antropologico si lega una visione scettica, sospettosa del potere o, se vogliamo, dell'uomo che esce da un rapporto orizzontale e cooperante con i suoi simili, per porsi al di fuori e sopra la comunità. Una visione scettica del potere che cessa di essere strumento comune e condiviso, per obiettivi atti allo sviluppo degli individui, e diventa strumento di parte, usato contro altre componenti della società.
Gli anarchici non sono contro l'autorità legittima, riconosciuta, non coercitiva, che serva secondo l'etimo (da augere) ad accrescere le possibilità comuni, come l'autorità del medico accresce la salute e quella del docente la conoscenza; l'anarchismo è contro l'uso antisociale del potere, contro l'uso che ne compromette la condivisione e l'utilità generali, universale sarebbe meglio dire. La libertà, in questa prospettiva insieme antropologica, esistenziale e sociale, è una e ben definita, né “schizoide” né “infinita”: è la possibilità/necessità di uno sviluppo integrale della persona, di ogni persona, vista sempre come suscettibile di una crescita e di un miglioramento ulteriori. Riduzione del tempo dedicato alla soddisfazione del bisogno, valorizzazione della dimensione spirituale (culturale), ludica, emozionale, sensuale dell'esistenza per ridiventare padroni del proprio tempo e, alla maniera di Stirner: “godere della vita e di se stessi”: non è un modello social/popolare di vita e di uomo, ma una prospettiva aristocratica generalizzata. Un tipo di vita esteso a tutti gli esseri umani, a spese di nessuno.
Libertà significa in questa prospettiva rimuovere gli ostacoli al libero sviluppo individuale, creando e promuovendo dimensioni complessive atte a favorire tale sviluppo. Perciò è anarchico il gesto di uno Spartaco che si ribella, come quello di chi costruisce una scuola che voglia aiutare dei bambini ad acquisire consapevolezza, senso di sé e degli altri. Se questi sono alcuni dei caratteri essenziali dell'anarchismo, appare molto riduttivo confinarlo in un movimento o un “episodio” storico, pensare che possa “morire” la speranza e la fiducia nell'uomo e nella vita, che hanno trovato anche nell'arte, nella poesia, nella filosofia, nella letteratura, persino in certe correnti religiose le loro manifestazioni più articolate, tanto come negazione della coercizione che come promozione del libero sviluppo individuale.
L'anarchismo dovrebbe ridefinirsi dopo la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo. Il comunismo del “socialismo reale” ha mostrato presto la sua incapacità teorico/pratica di raggiungere gli scopi che una parte significativa dell'umanità aveva condiviso. Gli stessi dell'anarchismo: la liberazione materiale e spirituale dell'uomo. Ha prodotto una nuova tirannide dove è venuta meno tanto la libertà dal potere dispotico e autocratico che la libertà intesa come possibilità concreta di crescita materiale e spirituale generalizzate. È venuto meno il comunismo, ma non le esigenze e le richieste di condivisione del benessere e dello sviluppo, di solidarietà.
Il capitalismo ha vinto? Avrebbe vinto se avesse generato e promosso quella ricchezza e quello sviluppo che dovrebbero essere parti del suo Dna, ma che sono rimasti prerogative di pochi, pagate da molti. Con un modello rozzo di benessere e di crescita fondato sull'“appropriazione”, termine caro ai Ferengi di Star Trek, ma che Berti usa senza ironia.
Nella seconda parte c'è una lunga disamina alle varie posizioni presenti nel movimento anarchico, anche se il modello a cui tendere sembra delineato nella prima parte del libro: una prospettiva liberal-capitalistica con qualche appropriazione in più e qualche guerra in meno. Ne riparleremo più ampiamente...

Enrico Ferri



Dibattito
Libertà senza Rivoluzione/12

Antonio Cardella/Ma, con tutti i nostri difetti, noi ci siamo ancora

Premetto che non posseggo gli strumenti necessari per valutare appieno l'enorme mole di lavoro che ha consentito a Nico Berti di portare a compimento Libertà senza rivoluzione, un'opera meritoria da qualunque angolazione la si consideri. Berti, quindi, mi assolverà se il mio intervento sarà quello di un militante anarchico che, per l'età avanzata, ha avuto il privilegio di parlare su certi argomenti che il libro tratta con compagni, adesso purtroppo scomparsi, che hanno vissuto da contemporanei impegnati le vicende a cavallo del XIX e XX secolo.
Berti – a mio modo di vedere – vive come evento inesorabile e duraturo il prevalere del capitalismo borghese sul fronte dell'opposizione di matrice prevalentemente marxista. Sempre a mio modo di vedere, quando lo scontro avviene all'interno di un sistema che nessuno dei contendenti vuole radicalmente cambiare, è normale che chi detiene il potere economico (o, se si preferisce, il possesso dei mezzi di produzione delle risorse) prevalga sugli oppositori. È stato sempre così e nessuna meraviglia che sia capitato anche nella lunga vicenda della lotta di classe delle origini. Come aveva giustamente osservato Bakunin prima di uscire da una Prima Internazionale svilita dalle beghe interne e dalla miopia arrogante di Karl Marx, il privilegiare la lotta economica su quella socio-politica avrebbe portato alla sconfitta la causa dei lavoratori e determinato l'involuzione autoritaria del movimento internazionalista. Lo stato sovietico, esito della Rivoluzione d'Ottobre, confermò appieno le previsioni di Bakunin e dei fuoriusciti anarchici riunitisi a Saint Imier. L'involuzione leninista che disegnò gli assetti dello stato sovietico, non è – a mio parere – una tragica deriva di un marxismo virtuoso, ma la conseguenza di una logica tutta interna alle dinamiche del potere. Il dramma del marxismo è tutto nel non aver compreso che il semplice possesso dei mezzi di produzione da parte del proletariato non avrebbe risolto il problema dell'eguaglianza e della libertà dei popoli se non si fossero affrontati correttamente i temi di un nuovo assetto politico-sociale che non facesse più perno sulla forma stato. Di fatto, riproponendo la lotta per il potere (la dittatura del proletariato) Marx riconduceva il conflitto all'interno della logica capitalistico-borghese e rinviava ad un futuro improbabile e senza premesse credibili una società senza stato.
In buona sostanza, in ambedue le visioni, quella liberal-democratica e quella comunista, lo stato era la struttura portante: da una parte della barricata l'involuzione autoritaria del mondo (prima e dopo la Spagna del '36 e prima e dopo il secondo conflitto mondiale); dall'altra, lo stato liberaldemocratico della borghesia capitalistica.
Veniamo adesso alla asserita vittoria (altrettanto epocale) del capitalismo evocata da Berti.
Intanto a me sembra importante distinguere di quale capitalismo parliamo: considerare il capitalismo che si gioca prevalentemente in borsa, in continuità con il capitalismo che produceva – con tutti i suoi limiti – beni e servizi destinati ad ampliare le aree del benessere (certamente relativo) delle popolazioni, vuol dire ritenere che la natura del mercato e la funzione del denaro siano nei due casi quanto meno comparabili, il che è improponibile. La semplice constatazione che, a fronte di un pil planetario valutato intorno ai 75mila miliardi di dollari, la circolazione del denaro nella stessa area è di circa otto volte superiore (in soldoni circa 600mila miliardi) porta a distinguere la qualità e la natura stessa delle due forme di capitalismo. Il che equivale a dire che la speculazione finanziaria, la capacità del denaro di riprodurre per partogenesi se stesso, siano incommensurabilmente lontane dall'economia reale. Quanto questo liberalismo e liberismo siano vincenti lo vediamo nella stagione drammatica che viviamo, con la quantità di buchi neri che inesorabilmente ingoiano risorse umane e materiali, desertificando aree sempre più ampie del pianeta.
Per coerenza gli anarchici sono rimasti estranei a queste logiche e, con tutti i loro difetti, ci sono ancora, al contrario di alcuni ismi che sembravano avere vite imperiture. Certo, spesso abbiamo sopportato il peso gravoso dell'isolamento quando non addirittura dell'irrisione, ma siamo ancora qui a discutere se un altro mondo è possibile, che rimane un modo originale e complesso di fare politica.

Le mie osservazioni su Libertà senza rivoluzione si fermano qui. Ritengo il lavoro di Nico Berti in ogni caso prezioso per la capacità dell'autore di focalizzare aspetti decisivi per una riflessione sulla necessità di riattualizzare il pensiero anarchico in tempi sideralmente lontani dalle origini, anche se la barra resta fissa sulla prospettiva di una società di liberi ed eguali.
È chiaro che non ce la faremo da soli: dobbiamo trovare compagni di viaggio per un percorso tutt'altro che scontato, in un mondo che cambia continuamente i suoi assetti geo-politici. Dobbiamo guardare senza scetticismi i turbamenti dei popoli emergenti. Chi per avventura ne ha conosciuto le popolazioni, sa che, a loro modo, declinano le medesime istanze di libertà e progresso.
Grazie, Nico.

Antonio Cardella


Documentarsi sull'Islam, prego

Senza polemica, ma consiglierei agli autori dei due articoli raccolti sotto il titolo “Sfida laica all'Islam” (“A” 381, giugno 2013) di leggersi un qualsiasi libro di Massimo Campanini o il commento di Alberto Ventura al Corano, così forse avrà le idee più chiare sull'Islam.
Io sono laico e non credente, molto curioso verso le altre culture qualsiasi esse siano, e non mi interessa che non corrispondano a categorie occidentali magari universali solo perché dominanti a prescindere dalla loro validità filosofica e politica. E se è vero che siamo così democratici, perché invece di criticare non aiutiamo l'Islam a comprendere meglio il senso della democrazia, di modo che possano poi tradurla in una maniera che rispetti la loro cultura e la loro storia?
Con affetto.

Maurizio Garuglieri
(Roma)

Non è questo il momento di chinare la testa

Scrivo e invio questo appello assolutamente personale ad A - rivista anarchica perché è l'unica rivista anarchica che conosco oggi in Italia. La mia è una posizione assolutamente individuale, quindi non pretendo sia considerata espressione di alcunché se non di me stessa.
Io voglio solo avere un canale per fare un invito che sento urgente e che non ho altro modo di fare poiché non sono iscritta né milito in nessuna organizzazione o federazione anarchica. Ma anarchica lo sono.
Credo che ci sia urgenza per tutti i liberi pensatori di questo paese di unirsi il più presto possibile, ma non affrettatamente, ai movimenti del proprio territorio. Qualunque essi siano.
Non ho votato a queste elezioni, col cuore più leggero del solito. Non ho letto giornali, né guardato tv negli ultimi mesi, non ho seguito la campagna elettorale se non tramite amici e militanti selezionatamente interessati. Eppure vedo con preoccupazione lo svolgersi degli eventi. Da un lato i “grillini” che non si sa quanto riusciranno a rendersi indipendenti da Grillo e come si comporteranno in parlamento: voteranno? Produrranno leggi e quali? Seguiranno la catena di comando? Si asterranno da tutto restringendo di fatto il potere decisionale? Si divideranno e, in buon ordine, responsabilizzeranno e cederanno al fascino dell' “istituzionalità”? Il potere li accecherà e gli farà perdere qualunque contatto di umanità? Ne approfitteranno restando puri per spingere sul 100 per cento alle prossime elezioni? Io non lo so.
Dall'altro lato i politici della seconda (terza? quarta?) repubblica che sembrano aver ricevuto la classica doccia fredda cui sono seguiti “barlumi” di risveglio che certo non meritano fiducia alcuna. Gli si legge in faccia la voglia solo di tornare a un tran tran noto e conosciuto in cui indignarsi, costernarsi, impegnarsi e “gettare la spugna con gran dignità” ancora e ancora. Che cosa faranno è prevedibile quasi un secondo prima che lo facciano o lo dichiarino. Il destino collettivo non li appassiona in modo alcuno.
Poi ci sono i movimenti, le lotte, gli operai di qualunque colore e settore economico, i lavoratori della conoscenza e del sociale e gli artisti che vivono in costante senso di spaesamento. Sanno che le loro pratiche e analisi sono oggi le uniche in grado di difendere e proporre la libertà, ma ancora una volta si trovano al giogo della storia. La guerra non è stata ancora dichiarata, sapremo (forse solo fra 20 o 30 anni) qual è stato il momento di inizio, ma già gli effetti si dispiegano in tutta la loro violenza per le strade, nelle carceri, nei Cie e sempre più, ovunque esista aggregazione.
Non è questo il momento di chinare la testa, non è il momento di nascondersi, non è il momento di non rispondere a chi si è scelto il proprio destino sputando a terra le idee di libertà e diritti con cui fino a ieri si è sciacquato la bocca. Nessuno sa che cosa fare, per chi parteggiare. Ma vogliono tutti la governabilità e la sicurezza e in un modo o nell'altro la otterranno. Che sia una dittatura, il capitalismo selvaggio o la mano invisibile di vernice repubblicana sarà solo un modo di accelerare sulla reazione, sulla repressione e un nuovo nascondersi e aspettare per anni. Si leggono su Facebook le parole di Mao, rimbalzano sui comunicati anche se non sempre dichiarate: “la situazione è eccellente”. Be', a me non pare proprio. A me pare preoccupante.
Io sto nelle lotte, non so come starci e faccio più casini che unione, ma ci sto. Ma mi sento tanto sola. Quando leggo un articolo di una qualche compagna o compagno con le mani (e la coscienza) sporche, magari dal carcere, mi commuovo. Sono una donna e mi sento un po' una principessina, ma la mia, almeno a voi, la voglio dire liberamente. Resto anonima però.
Nei movimenti siamo visti come “settaristi” oppure ho sentito l'altro giorno dire ad Ascanio Celestini che è un puritano. Nessuno, di nuovo, ci sopporta più ben volentieri. Ancora una volta la parola utopia è diventata qualcosa di cattivo, come una droga pesante che i benpensanti schifano: l'eroina, anzi no, il metadone del pensiero critico. Ancora una volta la libertà viene accusata di non dare da mangiare. Non c'è niente di nuovo sotto il sole direte voi? Be', io credo che la vostra sia una speranza. Ma anche aveste ragione, sarebbe meglio? Quanto ancora aspetteremo prima di rompere le fila? E che cosa aspettiamo?
Abbasso l'identitarismo! Anche quello anarchico!
Con tutto l'affetto. Saluti antifà.

Giulia Ponti
giulia.ponti@email.it

“A” Berlino...
Berlino (Germania). Cinzia Piantoni,
di Erre & Pi, grafica e impaginatrice
della nostra rivista, davanti alla
porta di Brandeburgo




I nostri fondi neri

Sottoscrizioni. Giorgio Bixio (Sestri Levante – Ge) 10,00; Marino Frau (Serrenti – Vs) 10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Audrey Goodfriend, 500,00; Antonello Amico (Caltanissetta) 10,00; Piero De Leonardis (Brindisi) 10,00; Roberto Nanetti (Settimo Torinese – To) 50,00; Agostino Perrini (Brescia) 10,00; Remo Ritucci (San Giovanni in Persiceto – Bo) 10,00; Roberto Salati (Chirignago – Ve) 40,00; Lorenzo Partesana (Sondalo – So) 10,00; Antonello Cossi (Sondalo – So) 100,00; Giuseppe Loche (Cortemaggiore – Pc) 10,00; Libreria San Benedetto (Genova) 9,90; Roberto Ceruti (Albisola Marina – Sv) 10,00; Valerio Strano (Cosenza) 5,00; Luciano Collina (Sala Bolognese – Bo) 10,00; Giuseppe Anello (Roma) 100,00; Giovanni Battista Albani (Ravenna) 10,00; Giancarlo Nocini (San Giovanni Valdarno – Ar) 10,00; Antonino Pennisi (Acireale – Ct) 20,00; Ugo Fortini (Signa – Fi) ricordando Milena e Gasperina, 30,00; Enrico Moroni (Settimo Milanese – Mi) 10,00; Gianfranco Cutillo (Bari) 40,00; Settimio Pretelli (Rimini) 20,00; Rino Quartieri (Zorlesco – Lo) 50,00; Leonardo Muggeo (Canosa di Puglia – Ba) 10,00; Laura Cipolla (Casalmaiocco – Lo) 20,00; Gianni Forlano e Marisa Giazzi (Milano) ricordando Errico Malatesta il 22 luglio, 100,00; Giulio Abram (Trento) 30,00. Totale € 1.234,90.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, trattasi di euro 100,00). Paolo Trezzi (Lecco); Mauro Reghellin (Cassola – Vi); Rrodolfo Altobelli (Canale Monterano – Rm); Claudia Pinelli (Milano); Alessandro Marutti (Cologno Monzese – Mi); Giancarlo Tecchio (Vicenza) 200,00; Nuccia Pelazza (Milano); Agostino Perrini (Brescia); Marco Breschi (Capostrada – Pt) 200,00; Roberto Di Giovannantonio (Roseto degli Abrizzi – Te); Collettivo d'Agraria (Firenze); Giovanni Baccaro (Padova); Andrea Morigi (Savignano sul Rubicone – Fc); Alfonso Amendola (Salerno); Battista Saiu (Biella); Marco Galliari (Milano) ricordando Franco Pasello. Totale € 1.800,00.