rivista anarchica
anno 44 n. 391
estate 2014


Pedagogia libertaria

In questa sezione:

Yves Bonnardel (a cura di Filippo Trasatti) - Contro l'educazionismo

Giulio Spiazzi - Incidentalità/progetto

Maurizio Giannangeli - L'educazione che ribolle

pedagogia libertaria

Contro l'educazionismo.
Ovvero critica dell'educazione in quanto tale

di Yves Bonnardel, a cura di Filippo Trasatti


Il brano che presentiamo è tratto da libro La Domination adulte di Yves Bonnardel, attivista anarchico antispecista, antisessista, antiadultista francese, cittadino del mondo, co-fondatore dei Cahiers antispécistes, promotore di campagne sui diritti dell'uomo e degli animali e per l'abolizione del sistema penale (http://abolition.prisons.free.fr/index2.html).
Il libro cerca di mostrare che benché le nostre società siano costruite non solo su un dominio di classe, di genere e di specie, ma anche tra le età, quest'ultimo tipo di dominio è raramente fatto oggetto di indagine, se non talvolta, ma non sempre, da una prospettiva libertaria e anarchica. Si tratta allora di tornare ad affrontare la questione dell'infanzia da un punto di vista politico radicale, ponendo in questione la subordinazione dei minori e ricercando le vie per una liberazione dell'infanzia.
Si tratta di un libro militante che discute la questione dello statuto di minorità del minore, basato su categorizzazioni in classi d'età e sulla fabbricazione sociale e culturale dell'infanzia e che analizza, anche storicamente, gli snodi fondamentali per i rapporti tra adulti e bambini: la scolarizzazione, la famiglia, le istituzioni per la protezione dei diritti dei bambini e così via, senza dimenticare, e lo si vede in questo brano tradotto, la resistenza dei bambini alla dominazione adulta.
È possibile reperire online articoli dell'autore in diverse lingue (http://yves-bonnardel.info/fr/publications_emissions ) e un documentario-intervista in cui Bonnardel ripercorre le linee fondamentali del suo itinerario di ricerca https://www.youtube.com/watch?v=zMh335Ho4qM.

F.T.

Si critica volentieri questo o quell'altro metodo, si contesta questa o quell'altra pedagogia, ma purtroppo generalmente la nozione di “educazione” in se stessa non viene posta in questione.
Qualcuno invero ci ha provato: nei paesi anglosassoni, John Holt che resta un punto di riferimento obbligato per il movimento dei Youth Rights, che ha pubblicato nel 1976 Instead of Education1 o le analisi di Ekkehard von Braunmühl2; in Francia ci sono stati ad esempio René Schérer o Claude Guillon e Yves le Bonniec, ma penso soprattutto a Insoumission à l'école obligatoire3 di Catherine Baker.
Proprio quest'ultima ci chiede cosa ci spinga a desiderare per i bambini che mettiamo al mondo, che essi diventino i soldatini di una società militaristica che ci arruola tutti, più spesso di quanto possiamo a nostra volta arruolare i bambini? Perché attribuirci il ruolo di leader, caudillo e desiderare a tutti i costi di guidarli? Perché fare un progetto su di loro? Perché non lasciarli vivere, gioendo nel guardarli vivere e aiutarli, accompagnarli nella loro scoperta del mondo, quando loro stessi ce lo domandano? Perché non dar loro fiducia e non fidarsi dell'amore reciproco che può svilupparsi tra due esseri che provano a relazionarsi lasciandosi liberi?
Di fatto anche se sono pochi a teorizzare la loro pratica, ci sono un certo numero di persone che al tempo stesso rifiutano il rapporto educativo con i (loro) figli e più in generale con chiunque: se non hanno questo genere di rapporti con gli amici, perché dovrebbero averli con i bambini che sono proprio quelli che non possono difendersene? Si tratta spesso di persone libertarie per scelta che rifiutano l'istituzione scolastica allo stesso modo in cui rifiutano per sé e per gli altri ogni forma di oppressione e sperano in «un mondo aperto e libero»4.

L'educazione si fonda sul dominio

L'educazione rivolge alla persona che la subisce un discorso implicito di negazione. Benjamin Kiesewetter scriveva: «l'educazione significa costrizione per l'allievo anche se tutto sembra accadere con gioia e acquiescenza, perché il bambino sa bene ciò che implicitamente lo minaccia se non collabora. Fondamentalmente educazione significa non accettare il bambino nel suo essere, non rispettarlo né tollerarlo in quanto tale, ma volerlo cambiare (o «migliorare»)»5.
I minori del collettivo Kraetzae spiegano che l'educazione è un rapporto gerarchico e ineguale, negazione di fatto dei diritti fondamentali che si suppone siano stati concessi a tutta l'umanità. Martin Wilke, uno dei minori attivisti del collettivo Kraetzae, definisce così l'educazione: «l'educazione è un'attività sistematica (intenzionale) esercitata allo scopo preciso di formare le persone, per lo più giovani. Essa non è presente «naturalmente» in ogni tipo di comunicazione, di influenza, ma solo se ci si pone in una posizione superiore rispetto all'altro e si pensa di poter o dover portare quest'ultimo verso un obiettivo. Nell'educazione si trova sempre un soggetto e un oggetto dell'educazione, un alto e un basso, qualcuno che conduce e qualcuno che è condotto, un educatore e un allievo6».
Wilke sottolinea che l'educazione è necessariamente una violenza, ha bisogno del dominio, in quanto definisce un “bene per il bambino” indipendentemente da lui stesso, glielo impone, se necessario contro la sua volontà.
«L'educazione non rispetta i bambini, si attribuisce il diritto di cambiare le persone. L'educatore tenta di reprimere delle caratteristiche dell'allievo che considera negative, allo stesso tempo in cui cerca di rinforzare quelle «positive». Egli vuole decidere su ciò con cui il bambino dev'essere in contatto. L'educatore crede di agire nell'interesse del bambino come i colonizzatori credevano o dicevano di agire nell'interesse dei colonizzati [...] L'educatore ha essenzialmente a disposizione due mezzi: la seduzione (la distrazione, l'imbroglio, la corruzione) e il ricatto (intimidazione attraverso minaccia e i danni che può arrecare)».
L'educazione si oppone a qualsiasi forma di relazione egualitaria.
«Essa e il suo sfondo teorico “pedagogico” considerano i bambini come oggetti, come materiale umano da formare. Ma i bambini non sono oggetti, sono soggetti, esseri viventi autonomi come tutti gli altri, fin dal principio.
[...] Il fatto che manchino loro ancora delle capacità determinate (la pretesa capacità di esecuzione) non costituisce un problema fondamentale. Quando accade agli adulti, non li si trasforma in allievi, ma giustamente li si aiuta.
[...] Ma perché i genitori lo fanno? Una vita comune egualitaria non sarebbe fondamentalmente più piacevole per entrambe le parti? La follia educativa che caratterizza molti genitori trova la sua origine nella supposizione che i bambini abbiano bisogno di educazione. Per quanto sia diffusa, essa è falsa. La maggior parte delle persone confonde apprendimento e educazione: la seconda è organizzata dall'educatore, mentre la prima al contrario vede il bambino nel ruolo di agente. Egli esplora l'ambiente, acquisisce informazioni senza che nessuno ve lo costringa. Il bambino è il soggetto dell'apprendimento. Non si può impedire l'apprendimento, tutt'al più lo si può limitare, ad esempio attraverso l'educazione. I bambini non hanno bisogno di educazione, hanno bisogno di apprendere, e lo fanno senza educazione».
Ogni persona lasciata libera apprende facendo, a volte leggendo o guardando la Tv, ma perlopiù semplicemente vivendo. In tal modo bambini che non sono stati forzati a leggere, apprendono da soli, senza sforzo, inevitabilmente7. Vale lo stesso per la musica, il nuoto e più in generale per tutto ciò che è utile. Queste modalità di apprendimento erano la regola prima che si imponesse l'educazione.
Ciò che fondamentalmente si inculca attraverso l'educazione è la sottomissione... e l'idea che l'educazione sia necessaria.
Naturalmente i bambini apprendono anche attraverso l'educazione, e ciò che in tal modo apprendono è prima di tutto proprio le regole dell'educazione: che i bambini debbano fare quel che si dice loro di fare; che in caso di conflitto ciò che conta non è ciò che il bambino vuole o pensa, ma ciò che gli educatori decidono. I bambini insomma “apprendono” a credere che l'educazione sia indispensabile.
[...] Così generazione dopo generazione si allevano i bambini, benché la vita in comune racchiuda la possibilità di relazioni egualitarie che facciano a meno della tutela e della violenza.
[...] Cerchiamo di evitare un altro possibile malinteso: rinunciare all'educazione non significa trascurare il bambino e non preoccuparsi affatto di lui. I bambini piccoli non possono ancora fare tante cose e dipendono dal sostegno degli altri. Ma questo stato di cose comporta che gli altri si pongano in posizione di dominio rispetto a loro, che prescrivano loro dei fini e li costringano a realizzarli anche con l'uso della forza? Si agisce così con gli adulti o con le persone disabili? E anche se così fosse, sarebbe giusto?
[...] Oggi, in realtà, l'educazione viene imposta per lo più in modo sottile, mentre in passato si era picchiati o rinchiusi. Nessuna delle due varianti è compatibile con la dignità umana e con i diritti fondamentali del bambino all'autodeterminazione e al libero svilippo della personalità».
Kiesewetter nota che si utilizza il termine “limiti” quando si tratta di minori per parlare eufemisticamente di “proibizioni” e in tal modo giustificarle:
«Un altro aspetto importante: i bambini hanno bisogno di limiti? I partigiani dell'educazione tradizionale rispondono a questa domanda ovviamente con un sì, mentre i partigiani dell'educazione «antiautoritaria» con un no. Entrambi fanno l'errore di mettere tutti i limiti insieme in uno stesso fascio. In realtà ci sono due tipi di limiti completamente diversi da un punto di vista qualitativo: ci sono limiti aggressivi e difensivi. Si mettono dei limiti difensivi per difendersi, per proteggersi dalle prevaricazioni degli altri (ad esempio: mi disturba che tu ascolti musica alle tre del mattino perché non posso dormire) e fanno riferimento al principio: “la mia libertà si ferma dove comincia quella degli altri”. Si tratta di una legittima difesa sensata se si vuol vivere in comune pacificamente e questo tipo di limiti non contraddice in nessun modo l'eguaglianza di diritti tra genitori e bambini. Al contrario si fissano dei limiti aggressivi ad altre persone per proteggerle, ad esempio, “da se stesse” e costringerle al loro presunto bene (ad esempio: “non puoi ascoltare questa musica assordante perché non ti fa bene!”). I limiti educativi sono limiti aggressivi che non si possono giustificare con il diritto alla legittima difesa. A livello sociale si ritrovano questo tipo di limiti in modo particolare negli stati in cui i diritti fondamentali delle persone e dei cittadini non vengono tutelati neppure per gli adulti. I limiti aggressivi riguardano il dominio e non il diritto (la giustizia) come è invece il caso dei limiti difensivi»8.
La necessità di “fissare dei limiti per il bambino” viene contiuamente invocata per legittimare le prescrizioni e le proscrizioni. “Fissare dei limiti” sarebbe indispensabile per una sana strutturazione del bambino, per il suo sviluppo sociale e morale armonioso. Gli permetterebbero di far proprio il necessario “principio di realtà” che bilancia il “principio di piacere” che si suppone capriccioso. Si tratta di un luogo comune psicologistico sull'infanzia che serve a legittimare l'esercizio della costrizione.

Intorno alla violenza, alle regole, alle soglie, ai limiti

«Alcune scuole, di fronte a tali brutalità [di bambini scolarizzati in precedenza] si sono accontentate di stabilire regole. Da che mondo è mondo, è facile capirlo, non si è immaginato niente di peggio. Altre tuttavia – e non ci sarebbe da stupirsi!- che non si sono fatte riconoscere dallo stato, hanno rifiutato leggi e punizioni: i conflitti sono stati contenuti volta a volta in modo diverso in relazione agli individui coinvolti (adulti e bambini). Schiere di pedagogisti patentati hanno alzato la voce contro questa assenza di regole e di autorità che “lascerebbe i bambini senza sicurezza”. Sciocchezze! Ciò che rende insicuro il mondo è la legge del più forte (tutte le leggi), gli eserciti, i giudici, le polizie; ciò che davvero rende qualcuno non sicuro è sapere che l'altro, di fronte a lui, ha dalla sua leggi, eserciti, giudizi, polizia...
Un bambino a cui si dice, con rispetto e fiducia: “fai ciò che vuoi”, acquisisce stima in se stesso ed è a partire da ciò che si attinge la vera potenza: quella di non aver bisogno di usare la forza. Quando la collera o la furbizia producono vittime, la maggior parte degli adulti reagisce con una discussione o con tentativi di consolazione.
Si tenta di esprimere la propria disapprovazione in modo non colpevolizzante; esprimere il proprio disaccordo è sempre segno di considerazione per l'altro. Talvolta si arriva allo scontro, ma lanci la prima pietra chi non ha mai perso il suo sangue freddo”.9 [...]
Vivo con bambini intorno a me che non sono educati; la maggior parte degli adulti che li circonda non cerca di imporre loro dei limiti e non ha mai pensato di riunirsi per discutere “come comportarsi con loro”: l'idea ci sarebbe sembrata assurda e oscena. Eventualmente si dice loro ciò che si pensa del loro modo di comportarsi, si fa loro notare, più o meno delicatamente, quando disturbano, si viene a patti con loro, li si accompagna quando ne manifestano il bisogno, li si avverte quando si pensa che si stiano mettendo in pericolo (il che avviene di rado), come si fa con gli adulti. Stanno bene, sono al sicuro, più intraprendenti, più vivi, più felici di tanti altri bambini.
Insomma, che cosa oppongono all'idea di educazione i minori di Kraetzae? L'idea di uguaglianza, di rapporti egualitari. Dice ancora Martin Wilke:
«Nelle relazioni egualitarie tra genitori e bambini non si pone affatto il problema di permettere o proibire qualunque cosa. Ciascuno viene preso sul serio, per i propri interessi e le proprie decisioni. L'autodeterminazione non implica che qualsiasi decisione sia razionale, o che non si commettano errori, ma che ciascuna persona possa decidere per se stessa ciò che considera il “proprio bene”, ciò che è desiderabile e come comportarsi. I genitori non devono giudicare il modo di vivere del bambino. Se essi credono che una certa cosa sarebbe meglio per il bambino, possono parlarne con lui, proporgli dei consigli concreti, informarlo delle conseguenze dei suoi atti, fargli proposte. Ci possono essere ovviamente reazioni di simpatia o antipatia per il comportamento dei bambini in situazioni precise, come avviene tra gli adulti. Soltanto, i genitori non devono prescrivere al bambino ciò che deve fare o evitare, non diversamente da come si fa tra adulti».
In breve parlare di educazione nell'interesse dell'altro è farsi gioco degli altri. L'abolizione del dominio degli adulti passa necessariamente attraverso la critica del concetto di educazione, richiede la decostruzione dell'ideologia pedagogica che la sostiene e la messa a nudo della brutale realtà dei rapporti sociali tra adulti e minori che sono mascherate dalle connotazioni positive (in quanto conseguenti all'ordine adulto) della parola “educazione”.

Yves Bonnardel

Note

  1. John Holt, Instead of Education, Holt Associates Publication, 1976.
  2. Ekkehard von Braunmühl, Antipädagogik. Studien zur Abschaffung der Erziehung (1975) (Antipedagogia. Studi per l'abolizione dell'educazione). Nel 1970, Braunmühl ha fondato con 25 famiglie una scuola per l'infanzia che rifiuta i rapporti educativi e che esiste tuttora. In Germania esce con regolarità una rivista dal titolo Unerzogen (“ineducati”), dedicata ai rapporti egualitari tra adulti e bambini.
  3. Éditions tahin party, Lyon, 2003 [1985].
  4. cfr. Catherine Baker, Les Cahiers au feu, Bernard Barrault, 1988, una lunga e appassionante ricerca dedicata a questi insuscettibili di subordinazione sociale. Si parla oggi talvolta di unschooling per indicare il movimento ormai divenuto internazionale di rifiuto dell'educazione e della scolarizzazione.
  5. Benjamin Kiesewetter, “Ein Plädoyer gegen antiautoritäre und jede andere Erziehung” (Un Plaidoyer contre l'éducation auti-autoritaire et toute autre forme d'éducation), in Die 68er – Warum wir Jungen sie nicht mehr brauchen (Les Soixante-huitards – Pourquoi nous autres jeunes n'avons plus besoin d'eux), Berlin, Stiftung für die Rechte zukünftiger Generationen, 1998. Traduzione in francese di Yves Bonnardel : https://enfance-buissonniere.poivron.org/Plaidoyer_contre_l_Education.
  6. Martin Wilke, Erziehen ist gemein, http://kraetzae.de/erziehung/erziehen_ist_gemein/ (Éduquer est ignoble ; traduction parziale in francese : http://fr.kraetzae.de/eduquer. Le citazioni in corpo minore sono tratte dallo stesso articolo.
  7. Nel film En Rachâchant (1982) che Jean-Marie Straub e Danièle Huillet hanno tratto da un racconto di Marguerite Duras, il piccolo Ernesto decide di non andare più a scuola. Quando gli si ingiunge di dire perché, dichiara: «non val la pena di apprendere ciò che non si sa ancora. Inevitabilmente lo saprò. Non potete farci niente, calmatevi». Éd. Montparnasse, 2009, cofanetto Straub - Huillet, vol. 4.
  8. Kiesewetter, art. citato.
  9. Catherine Baker, Les Cahiers au feu, cit., p. 176.