rivista anarchica
anno 44 n. 393
novembre 2014



A dieci anni dalla sua scomparsa, ci piace ricordare Luigi “Gino” Veronelli con questo dossier a più voci. Innanzitutto la sua, di voce: ripubblichiamo in apertura cinque articoli di Luigi Veronelli pubblicati su “A” tra il 1999 e il 2005 (quest'ultimo evidentemente, postumo). Il primo intervento abbiamo voluto che fosse di Gianni Mura, giornalista poliedrico, esperto eno-gastronomico e musicale (sua l'apertura a un altro dossier di “A” su un altro grande: Georges Brassens), milanese e tante altre cose, grande amico del Gino (e anche nostro). Andrea Bonini, bergamasco, direttore del Seminario Veronelli, riflette sul concetto di contadinità e sull'uso politico che Veronelli ne ha fatto. E altre cose. Dell'influenza tra i giovani e del ruolo da lui svolto si occupa Orazio Gobbi, piacentino, dell'Associazione culturale Kairos. Gianandrea Ferrari, della Federazione Anarchica (Fai) di Reggio Emilia, ricorda quando Gino andò ad inaugurare la loro nuova sede nel 2003. Sempre degli anarchici reggiani riproduciamo il necrologio, affisso sui muri della città, del “nostro anarchenologo”. Della rivista E.V. si occupa Angelo Pagliaro, calabrese, che lancia un appello per vederla finalmente on-line. Il ligure Massimo Angelini ricorda i vari campi della loro amicizia e collaborazione. Un torinese in terra di Liguria, Pietro Stara, ci parla delle valenze anarchiche del suo linguaggio (così caratteristico). Un ricordo a tutto tondo del Veronelli politico (e non solo) è quello che 5 anni fa scrisse per noi il friulano Marc Tibaldi, 5 anni dopo la morte di Gino: lo ripubblichiamo. Il pugliese Mimmo Lavacca ricorda quella manifestazione nel porto di Monopoli, nel 2004, proposta da Veronelli: che ci andò e... Un altro veronelliano reggiano (di Gualtieri, per essere precisi), Diego Rosa, parla del suo “camminare la terra” e spiega come nacque nel 2007 la Cellula Veronelli. Domenico Liguori ricorda la visita del Gino a Spezzano Albanese (Cosenza) per conoscere gli anarchici del posto, da sempre impegnati anche in battaglie “agricole”. Simonetta Lorigliola, di Trieste, analizza la storia collettiva di t/Terra e libertà/critical wine e spiega perchè quelle lotte siano ancora attuali: da riprendere in mano. Orazio Gobbi ha poi realizzato 4 interviste con vignaioli, che nella loro storia e nella loro attività “portano il segno” delle idee e delle relazioni con il Gino: la marchigiana cooperativa Aurora, i piemontesi Giuseppe Rinaldi, Giovanni Canonica e la cooperativa Valli Unite – che produce anche il VINOTAV solidale: una veronellata, che sarebbe piaciuta al nostro indimenticato anarchenologo, amico, collaboratore, compagno e abbonato sostenitore.


Lettera aperta ai giovani estremi

di Luigi Veronelli

Perché i Centri sociali ed i Circoli anarchici non si occupano di colture, oltre che di culture? Una proposta di Luigi Veronelli, noto enologo e meno noto editore. Nonché anarchico.

Che cosa può darvi un uomo della mia età se non i dati dell'esperienza?
Solo oggi, più che settantenne, vedo con chiarezza: il potere ha utilizzato - con un vero e proprio capovolgimento dei propositi - ciò che era nei nostri sogni, anziché far l'uomo più libero con il progresso, la scienza, la macchina, la cultura ecc., renderne più rapido e sicuro l'asservimento.
Ogni scoperta ed ogni invenzione - nate tutte (oso credere) dal proposito di essere vantaggiose all'uomo - sono state deviate ed utilizzate contro l'uomo. Basta guardarsi attorno, con un minimo di senso critico e morale e ci si accorge che tutto, ma proprio tutto, viene attuato per renderci servi.
Un tentativo che - pur essendo tutt'altro che escluse le violenze e le atrocità dei vari fondamentalismi (sotto le tante maschere, religione ed etnia in primis) - aggredisce l'uomo, con i mezzi suadenti delle comunicazioni di massa.
Chiaro ed orrifico il fine: non più individui, non più cittadini, non più un popolo, ma milioni di uomini e donne, senza volto né storia, servi.
Ripeto: la macchina del potere ha posto al proprio servizio gli uomini di lettere, di cultura e di scienza, i giovani “più in vista” e i politici.
Uomini di lettere, di cultura e di scienza. Comprati.
I giovani più in vista. Utilizzati come paladini dell'industria e del capitale, i migliori nello sport, nello spettacolo, nel trattenimento e nelle arti. Giovani che, per denaro, esaltano - forse inconsapevoli - una programmazione emmerdosa.
I politici nazionali e no... La comunità europea - in cui avevamo pur posto speranze - ha emanato norme subdole e fintamente igieniche per metter fuori gioco, a favore di industria, conserve, salse, formaggi e salumi, prodotti in modo artigianale, senza rischio reale alcuno, da millenni.
In modo più spettacolare e continuo, i mass-media, le pubbliche relazioni, le promozioni e la pubblicità.
Ad ogni ora del giorno persuasori tutt'altro che occulti esaltano ciò che dovrebbe civilmente essere condannato. Fanno consumare le stesse cose in ogni angolo del mondo, costringono a consumi non necessari anche i più poveri, impongono alimenti geneticamente manipolati di cui si ignorano gli effetti a tempo lungo sull'organismo umano - i cosiddetti alimenti transgenici, che ci propongono l'uniformità dei gusti - ed annullano il mutare delle stagioni. Mi limito ai due prodotti - simbolo: la coca - cola e l'hamburger (se dis inscì?), uguali - pensa tè - in ogni luogo del mondo.
Se vi sono una bevanda ed un cibo vecchi - che sentono e sanno di vecchio - questi sono proprio la coca cola e l'hamburger. L'uno e l'altra monotoni e statici. L'uno e l'altra tuttavia esaltati come fossero prediletti dai giovani, nel futuro dei giovani.
Perché la bevano e lo mangino - i giovani, dico - gli debbono costruire attorno un “castello” (un castello? Un finimondo) di pubblicità e promozioni plurimiliardarie. Smette la pubblicità? Un castello di sabbia, pronto ad andare in sabbia alla prima delle onde serie (”Onda d'Urto”, mi vien da pensare, o “Muro del Magazzeno 47”).
I giovani prediligono - ed io vorrei esigessero - il nuovo e il diverso. Tutto nuovo e tutto diverso - spazio alla creatività - certo, ci viene da infinite evoluzioni, dalle millenarie lotte e sofferenze di uomini perseguiti, nuovo e diverso. I giovani si sono resi conto che la tradizione e la cultura sono non un piedistallo, bensì un trampolino di lancio. Nuovo e diverso presentati con una serie d'interventi critici, di note culturali e di provocazioni, così da esaltare proprio nel nostro sangue e nelle nostre idee, luci e coraggio. Ho parlato di tradizione e di cultura. Un distinguo. Necessario.
Ciò che ci concedono e ci presentano i detentori del potere, con le immense possibilità di corruzione del denaro, anche quando ci viene presentato come cultura o peggio (peggio da che vi è il tentativo di maligna subornazione), come contro-cultura è, nei fatti, sottocultura. Noi siamo - e qui lo dico da anarchico - la cultura, per definizione sempre impegnata e nel domani.

La copertina del libro “La questione sociale“,
di Pierre-Joseph Proudhon,
pubblicato da Veronelli editore nel 1957
Eversione e sovversione

Ineffabili e cinici mascherano il tutto con campagne puritane: opererebbero per la purezza e la salvezza del genere umano. Nei fatti si rischia che la terra non basti agli uomini, perché l'industria e l'agricoltura industrializzata stanno desertificando e avvelenando i terreni con la ricerca, senza limiti, del profitto.
La tragedia del genere umano sta per giungere al suo compimento, proprio con la desertificazione, il degrado, la reale morte della terra. È la terra la madre di ciascuno di noi, la terra singola, la terra da cui siamo nati, la terra che camminiamo, la terra su cui ci adagiamo, la terra di cui cogliamo i fiori spontanei ed i frutti, la terra degli olivi e delle vigne, la terra che coltiviamo di fiori, di frutta e di ortaggi, la terra che ci dà le raccolte, la terra su cui facciamo l'amore. Sono stati così “capaci” e potenti da portarci al contrario di tutto. Il progresso anziché all'uomo dovrebbe servire al potere. Proprio il progresso che ha l'imperativo categorico di distruggerlo, il potere. Su quali giovani contare? Sui giovani coraggiosi, propositivi, dialettici, attenti ed esigenti. Giovani che sappiano opporsi al capovolgimento dei fatti. Se i fatti denunciati sono veri - e non vedo alcuno che possa smentirmi - è necessaria e urgente, nessuna possibilità di rinvio, l'eversione e la sovversione.
Cercano d'imporci - la suadenza, la musica, i comici, il cinema, quant'altro - le scelte quantitative. Tu, giovane, fai opera di eversione e di sovversione, esigendo per te e per i tuoi compagni, la qualità.
Ho avuto modo, per la loro civile frequentazione, di conoscere meglio, tra i giovani, alcuni impegnati nei Centri Sociali e nei Circoli Anarchici. Li ho trovati coraggiosi, propositivi, dialettici, attenti ed esigenti.
Penso che siano i soli a poter svelare e rendere evidente agli altri giovani, il tentativo in atto contro di loro, in quanto contro la libertà e la terra. Uno dei fatti più importanti di fine secolo, per quanto riguarda la nostra patria (la patria è ciò che si conosce e si capisce) è l'assunzione di responsabilità da parte del partito catalano, “il partito dei Sindaci”. Rivendicano le denominazioni comunali (leggi, se puoi, con attenzione da pagina 20 a pagina 29 di “Ex Vinis” numero 42).
Un'assunzione di responsabilità difficile e pesante, perché richiede tutta una lunga serie di studi, di verifiche e di lavori. Opere che possono essere compiute in modo corretto ed esauriente solo da giovani “idealisti”, giovani che abbiano, quale prima preoccupazione, “la libertà dell'altro”.
Un'assunzione di responsabilità - dall'una e dall'altra parte - immensa, in grado di mutare il mercato a favore dell'uomo, di mettere ai margini - in tempi più brevi di quanto si possa credere - le multinazionali, la grande distribuzione e i loro nutrimenti “anabolizzanti”, dell'intelligenza e del fisico. Il nostro avvenire, e quello dei nostri figli è in gioco, proprio - e in maniera più diretta di quanto si creda - sulle necessità prime del mangiare e del bere.
Non è affatto un caso che coltura e cultura abbiano identica etimologia. Coltura significa coltivazione del terreno. Cambi la o in u, cultura, ed hai il complesso delle conoscenze intellettuali. “Il terreno arato non si distingueva da quello non ancora messo a coltura”, leggi in Carlo Cassola. “Colui che ha molta cultura ma scarso ingegno non ha nemmeno cultura, perché la cultura non è davvero tale se non è dominata, trasformata e assimilata dall'ingegno”, afferma Benedetto Croce.
Il progresso - lo vediamo in ogni fatto di cui ci occupiamo in modo sereno - è proprio coltura e cultura.
Perciò io m'auguro che i giovani estremi - la cui scelta è già geniale - vogliano sollecitare i sindaci delle città in cui operano, ad una presa di contatto per un esame quanto più pacato e paziente delle possibilità di collaborazione, secondo i due aspetti coltura / cultura.

Comune per Comune

Pacato e paziente perché nasceranno ostacoli proprio nel momento in cui qualcuno nella controparte (qualcuno? Gli asserviti al capitale e al potere), si accorgerà che il catasto comunale di ciascuno dei prodotti agricoli, la zonazione con la ricerca delle colture più adatte, il rilievo delle particolari vocazioni d'ogni “oggetto” della terra - fosse pure la misera patata - e le loro lavorazioni artigianali in luogo, costituisce un atto mille volte più rivoluzionario di qualsiasi violenza, e più oltraggioso e dannoso per il capitale e il potere.
Gli argomenti della trattativa, anche economica, tra i Sindaci e i Centri sono molti, dai più difficili - per cui sarà necessario l'intervento di tecnici specializzati - ai più semplici, per cui saranno tuttavia di altrettanta necessità giovani trasparenti ed entusiasti.
Ogni centro dovrà assumersi il compito - rispetto al territorio (di un solo Comune o di molti, secondo potenzialità) - sia di studio, sia di attuazione. Studio storico (per esperienza so che un terreno celebrato in antico per le sue produzioni agricole è capace - se bene condotto - di ripeterle) e studio tecnico (della zonazione, ad esempio, che consente di individuare in un territorio vocato, le terre più vocate). L'attuazione sia in accordo - mediato dai Sindaci con delle aziende agricole esistenti - sia con la messa a coltura delle terre demaniali.
Ma gli argomenti in discussione sono ben più ampi. Si dovrà, ripeto, Comune per Comune, esaminare la validità di un progetto riferito ai prodotti della terra, la vocazione della terra stessa alle coltivazioni prospettate, l'esame delle possibilità della trasformazione dei prodotti ottenuti in formaggi, salumi, conserve, o marmellate, o altro... ma anche il ripristino dei “valori” abbandonati, il recupero dell'ambiente, il controllo delle regolarità (in primis quelle relative alla prevenzione degli incendi) e l'equilibrata manutenzione dei luoghi storici, dei parchi, dei boschi, delle acque. Mi piace ricordare ai “miei” ragazzi, così gelosi - giustamente gelosi - delle loro singolarità e individualità, un fenomeno spiegato in ogni scuola.
È detto catalisi il fenomeno chimico per cui alcune sostanze (chiamate catalizzatori), aggiunte anche in quantità piccolissima a un sistema chimico, aumentano la velocità della reazione senza che esse prendano apparentemente parte alla reazione, cioè senza che tali sostanze, a reazione compiuta, si trovino in alcun modo combinate con i reagenti o con i prodotti della trasformazione.
La partecipazione dei giovani estremi ad una delle tante operazioni previste per le denominazioni comunali, non implicherà per nulla e in nulla, la temuta (pure da me) omologazione. Voi potete essere i catalizzatori della riscossa, sia che vogliate assumere responsabilità nel nuovo sistema, sia no. Giovani, ponetevi in modo critico di fronte al progetto di globalizzazione. Progetto che, nei fatti, è già in corso. Progetto che implica il ritorno di ciascuno che non abbia capitale alla schiavitù.

Luigi Veronelli

Postilla alla lettera
L'arma più efficace per imporcela, la schiavitù - in un modo, in apparenza pressoché indolore - è nei mezzi di comunicazione di massa, attraverso i quali con trasmissioni solo in apparenza giovani e di contestazione, impongono le forniture e i costumi del capitale.
Le prese di posizione e le “aggressioni” dei Centri e, con forte incisività degli squatter, sono - con la sola, ma grave penalità della violenza - esemplari. Fanno saldo riferimento alla tradizione, vista, ripeto, non come un piedistallo, bensì come un trampolino di lancio.
Con l'occupazione e la gestione dei palazzi, delle fabbriche trasferite, dei boschi, dei terreni abbandonati o in gerbido, vi è un effettivo ritorno ai valori. Io credo sia possibile trattare i tanti aspetti di questa rivalutazione, con le conseguenti economie nel dare e nell'avere, dei lavori eseguiti.
Ai giovani dovrebbero essere offerte, sia per frequentarle, sia per gestirle, scuole di specializzazione ed assistenza sulla pratica dell'edilizia, del restauro, delle coltivazioni agricole, delle preparazioni elitarie, della difesa ecologica, della musica e di quant'altro possa servire ai Comuni, per una messa in valore e la redditività nel campo dell'ospitalità e del turismo.
Punto di partenza, la messa a disposizione, dopo i necessari e giustificati controlli, regione per regione, delle fabbriche e delle attrezzature industriali ed agricole abbandonate e le proprietà lasciate in gerbido, così che anche siano rimesse in attività e in valore, col duplice vantaggio del lavoro e dell'impegno dei giovani, che hanno scelto - moderno monastero - il Centro, per spirito di solidarietà e d'indipendenza. Ciò comporterà l'assunzione di manodopera sia locale, sia dell'emigrazione.
Il capitale e il potere hanno scelto l'impietosa soluzione delle tecnologie che limitano o addirittura non richiedono l'intervento umano.
L'hanno imposte con una pubblicità sempre più martellante. Ne consegue proprio la riduzione fino all'eliminazione della manodopera specializzata e non. E proprio i giovani, primi ad averne danno, sono costretti a servirsene - di quelle tecnologie - per l'assenza di alternative.
Contro-cultura sono proprio tutte le azioni dei cosiddetti ben pensanti... da sempre. Da qualche anno in modo così pesante e con risultati orroreschi, da rendere appunto necessaria la sovversione.

da “A” 251 - febbraio 1999

Per il Convegno internazionale anarchico del settembre 1984 (organizzato a Venezia dal Centro studi libertari/Archivio Pinelli di Milano, dal CIRA di Lausanne, dall'Anarchos Institute di Montreal e dal gruppo Machno di Marghera), Luigi Veronelli decise, con quella generosità che era un suo tratto tipico, di offrire buona parte del vino messo a disposizione delle migliaia di anarchici presenti in Campo Santa Margherita. E il vino scorse a fiumi durante quella settimana. Anche perché, in stile con il personaggio, non si trattò di un vino qualsiasi bensì di produzioni di alta qualità (un nome per tutti: il rosso servito <alla spina> altro non era che Bricco dell'uccellone). Non c'è dubbio che anche questo dono straordinario di Gino contribuì alla buona riuscita dell'evento..



Terra e libertà

di Luigi Veronelli

Il più noto enologo italiano lancia un appello ai “giovani estremi”, in particolare dei circoli anarchici e dei centri sociali.
E propone...

Quando mi chiedono cos'è l'anarchia, so solo rispondere: la libertà dell'altro. È sufficiente per vantarmi anarchico?
Sta di fatto che ho dedicato tutta la mia vita alla libertà, mia e altrui con una scelta contadina collegata a Carlo Pisacane.
La fine millennio con l'affermazione della centralità della terra - e di quanto ne segue: l'ambiente e l'agricoltura - dovrebbe rendere chiaro ai giovani estremi che è stato ed è un grave errore non essersene interessati e non interessarsene.
I potenti - che sanno - hanno fatto e fanno di tutto perchè la terra - intesa nelle sue diverse significanze - venga annullata, persa la guerra, della violenza, puntano alla rivincita con la finanza.
L'orrorizzante “globalizzato” della America Online e Time Warner, società di 640.000 milioni di lire è una ulteriore prova. Quante persone si potrebbero togliere dalla miseria con l'impiego corretto di quella cifra mostruosa?
Non accorgersene - giovani estremi e voi in particolare dei circoli Anarchici e dei centri Sociali - è il suicidio.

Dibattito pretestuoso

La lotta deve essere sì nelle città, ma altrettanto certo e più ancora nelle campagne. Contro ogni fraintendimento. È l'esigenza della qualità, soprattutto alimentare, che ci rende più forti e capaci di opporci alla massificazione ed alla protervia globalizzante.
Ho detto le parole che seguono al grande pranzo, in Percoto di Udine, 29 gennaio, offerto alle “autorità”, agli uomini di cultura ed ai vignaioli, dopo la proclamazione dei premi Risit d'Aur alla civiltà contadina. Io avevo l'incarico di consegnare il premio alle Donne del Vino, un'associazione che raccoglie le vignaiole che operano, appunto, nelle vigne.
V'è un mio racconto mai scritto. Il mio racconto mai scritto sul vecchio che, divenuto cieco, si dispera per l'impossibilità di leggere i libri e, ancor più, di non riconoscere i volti degli amici. Si arrabbia anche di non riconoscere quelli dei nemici, cui rifiutare la mano.
Grazziaddeo le amiche friulane, le Donne del Vino, mi sono vicine. Le riconosco una ad una. Potrebbero essere mie figlie. Lo sono, nei fatti.
Il vino è il canto della terra verso il cielo. Ha i suoi tenori e i soprano, contadini - agricoltori se volete - e contadine che lavorano le vigne e ne vinificano le uve, con tutta la fatica, l'intelligenza e la passione che vigna e vino esigono. I tempi mutano e sempre più le donne si fanno protagoniste. Anche nel mio campicello. Per cui a loro soprattutto chiedo consiglio ed aiuto.
Siamo di fronte a un mutamento sociale di proporzioni inaudite. Fallito il tentativo di schiavizzare l'umanità con la violenza, è in atto quello di schiavizzarla con la finanza. La terra è l'unico reale baluardo in grado di contrapporsi e far fallire il proposito. Loro lo hanno capito. E fanno di tutto per oltraggiarla ed annullarla.
I Risit d'Aur sono nati con il preciso proposito di esaltare la civiltà contadina, e quindi la terra.
Anno via anno, con premi alla cultura di maggior impegno (se di reale impegno non può non essere legata alla terra), ai contadini ed agli artigiani.
La Terra madre. La Donna madre, le uniche capaci di generare. La finanza è sterile, astiosa, implacabile. Corrompe gli uomini, quelli del potere, politici e giornalisti, col danaro.
Primo, rigoroso ordine dei padroni: si metta a margine l'agricoltura, la si ignori quanto più possibile ed è perciò che nei programmi dei partiti l'agricoltura è, nella realtà, assente.
Tre giorni fa in New York, si sono riuniti alcuni sopracciò della politica e dell'economia - pensa té - per combattere la povertà del terzo e del quarto mondo. Ciascuno di loro era coperto di danaro. Non combattevano contro la povertà, davano regole “per la povertà “ così che l'orbe terracqueo sia provvisto di schiavi che si prendano carico del lavoro e di padroni che li facciano sopravvivere nei limiti stretti dei “benefici” consumistici.
Le tivvù, i quotidiani, i settimanali, hanno esaltato l'orrorizzante “globalizzo” della America Online e Time Warner, società di 640.000 milioni di lire. Quante persone si potrebbero togliere dalla miseria con l'impiego corretto di quella cifra mostruosa? Lo esaltano anzichè esecrarlo, quell'ipertrofico potere, in mano ad una decina o poco più di persone.
Proprio al contrario la povertà si combatte con l'insegnamento, di luogo in luogo, delle tecniche di coltura della terra e con l'approvvigionamento dei mezzi. Ogni uomo in ogni paese del mondo, anche il più difficile per condizioni climatiche (com'è dimostrato dagli esquimesi) - se è in grado di conoscere le qualità della terra in cui è nato e su cui vive, ed ha i mezzi adatti per coltivarla - si rende libero. È libero.
Questa è l'inoppugnabile verità tenuta nascosta, con rabbiosa protervia, da chi ha bisogno di schiavi.
Ed è proprio per ciò che mi rivolgo alla cultura, ai premiati del Risit e alle Donne del Vino, in primis, perchè mi aiutino nella battaglia intrapresa per eliminare la povertà del nostro Sud.
Nel Sud vi sono più di un milione di olivicoltori che non hanno raccolto le olive, quest'anno, da che il mercato gli offriva il 40% in meno del niente dell'anno scorso.
L'80% del mercato - dicono - è in mano alle multinazionali, Unilever e Nestlé in testa.
Nei supermercati sono in vendita i cosiddetti oli extra-vergine di oliva, a meno di 6.000 lire, quando il costo contadino non può - sottolineo, non può - essere inferiore a 10.000 lire (e dico dell'olio appena franto, non ancora confezionato e senza alcun margine di guadagno).
Basterebbe che “le autorità” provvedessero - e i giornalisti appoggiassero - due elementari norme: “essere olio d'oliva il solo liquido ottenuto dalla sola frangitura delle olive” e “è italiano l'olio d'oliva franto da olive italiane” e quel milione di olivicoltori, da poveri si farebbero benestanti, capaci, anzi costretti, ad assumere manodopera.
È gravissima colpa dei politici, degli economisti e dei giornalisti ignorare questo fatto che non ha nessuna possibilità di smentita.
L'anno scorso, qui in questa sala ho dato il preannuncio delle Denominazioni Comunali. Ciascun comune rivendica il diritto di proteggere e valorizzare i prodotti e manufatti della propria terra con l'esatto nome di ciascuna delle località. È partito l'iter parlamentare ma io affermo: i Signori Sindaci già possono dar atto alla denominazione comunale per ciascuno dei loro prodotti con l'uso del potere notarile.
(Questo, amici dei circoli Anarchici e centri Sociali è un fatto rivoluzionario, in grado di mettere ai margini le multinazionali e di dare lavoro, serio e non flessibile, a milioni di giovani).
Chiedo una seconda volta aiuto agli uomini di cultura e a ciascuno presente in questa grande sala, famosa per la distillazione dei prodotti primi della terra, vinacce e frutti.

Luigi Veronelli

da “A” 262 - aprile 2000



Libera

di Luigi Veronelli

Si autodefinisce “anarchenologo” e recentemente ha pubblicato con Pablo Echaurren un manuale per enodissidenti e gastroribelli. In questo scritto critica l'anticlericalismo, difende l'ateismo e...

Vi sono due Libera – associazioni – ciascuna da me amata. L'una, la più conosciuta, in Sicilia, si occupa di trovare ragazzi giovani che abbiano il coraggio di acquisire le terre sequestrate ai mafiosi e di coltivarle (ha lavorato bene, tanto d'aver avuto l'incarico gravoso, se non massacrante, di occuparsi anche delle proprietà sequestrate alla 'ndrangheta calabrese, che dicono ancora più feroce). Il fatto che uno dei coordinatori sia don Luigi Ciotti mi fa pensare, forte la presenza dei cattolici.
L'altra – non scrivo “la seconda” di puntuale proposito – Libera, opera in Emilia ed è – quanto meno lo credo – di impostazione anarchica e quindi anche atea (come me).
Mi ha scritto Colby, uno di quei giovani attivi, per invitarmi ad una tre giorni anticlericale. A causa dei miei occhi e delle cure (ultime che mi costringono a frequenti viaggi in Germania) non potrò parteciparvi.
Mi dispiace molto. Avrei detto loro, nella pubblica piazza, che non è più possibile essere anticlericali. Anche se è vero che le autorità e molti della gerarchia ecclesiale fanno di tutto per far rinascere e alimentare quel fenomeno deviante.
Ieri sera – 6 agosto, raitre, quasi notte, dopo la trasmissione dei telegiornali nazionale e regionale – è andata in onda una trasmissione sul rabbino Toaff, che ha lasciato la sua carica – di massimo rabbino italiano, appunto in Roma – per limiti di età. È stato un personaggio duro, come tutti gli uomini di fede (credono l'impossibile, possibile). Ha raccontato la sua storia di ragazzo e di uomo perseguitato dalla bestialità nazista (...).
Il racconto ha avuto tre momenti di estrema commozione: la strage di Sant'Anna di Stazzema, di cui fu uno dei testimoni; la benedizione di papa Giovanni agli ebrei che uscivano dalla sinagoga romana dopo la preghiera (quel papa contadino di immensa bontà ed intelligenza, accortosene, aveva fatto fermare la propria auto) e la partecipazione del presidente Pertini ai funerali di una bimba ebrea uccisa in Roma da uno dei rigurgiti fascisti, 1982; sembra impossibile.
Sia Toaff, sia papa Giovanni erano uomini di fede, senza aggettivazioni (ciascuno credeva nella sua, fondata accettazione delle fanfole tratte dalla notte dei tempi). Sandro Pertini era di fede socialista, con qualche attenuante quindi, quanto meno per l'aggettivazione recente.
Tutti e tre i personaggi – in misura diversa, va da sé – sono stati degni di rispetto e due, addirittura, amabili.
Nel mio vivere – ormai lungo – ho avuto frequentazione e conoscenza di molti sacerdoti, quasi tutti, come logico, cattolici e cristiani. Se ci penso, se ricordo le loro parole, a volte aspre per i contrasti ideologici, debbo affermare essere stati, in larga maggioranza, stimabili.

Dio e il diavolone

Certo, ciascuno fedele alle proprie credenze; altrettanto certo, comprensivo, liberale, non violento e con una volontà moderna, di privilegiare al loro interno le vocazioni comunitarie.
Si è soliti dire: “Beato chi ha la fede, perché ha meno problemi”. È proprio vero?
È vero il contrario se – fatto certo dell'impossibilità dell'impossibile, attraverso il pensiero e l'osservazione – acquisisci, come per incanto, una grande serenità e perdi il timore. Sì, il cosiddetto timore “iniziale” (la condanna, secondo i fanfolisti, di ogni creatura che nasce), la paura sia della colpa, sia della pena che obbliga il cristiano verso Dio, il timore servile, il timore, appunto, di Dio.
Se ti liberi da ciò, le opere che fai lo sono per tua scelta e non per l'imposizione di una verità rivelata.
Quando la mia Connie – una schnauzer gigante che mi affascina per il perfetto disinteresse e la bellezza degli occhi – avverte i primi lampi e ode i tuoni, corre verso di me, trema e mi si accuccia tra le gambe.
Le dico: “Connie Connaccia, hai paura del diavolone, eh? Ti prende stavolta il diavolaccio”. Dio e il diavolone.
L'uomo è un unico.
Frutto, come ogni altra “cosa” nata dalla Terra, di miliardi e miliardi di congiunzioni e di casualità. Si modifica già per la prima esperienza che lo porta al pianto o al sorriso. Di qui l'importanza dell'educazione in cui la parola colpa non dovrebbe mai entrare, né come iniziale, né come futura.
Le iniziative saranno solo sue, inquinate molte volte da errori, mai da colpe.
Non ho respiro antropologico per potermi soffermare su un argomento così importante. Spero solo di farti intuire l'estrema bellezza della tua singola libertà. Quella sì capace di convincerti ad operare secondo etica e socialità, a favore degli altri prima ancora che tuo.
Cerco di farlo con la comunicazione, l'unico modo – disgraziato me – che conosco. Gli occhi hanno già dato un grosso taglio alle mie possibilità. Temo, va da sé considerati gli anni, altre malattie, col solo augurio: non tocchino il cervello.
Ho avanti a me l'immagine di una quercia ormai stanca – potrei dire un altro albero, più modesto; un ceppo di rose – la stanchezza è tale da rifiutare ogni cura incisiva.
Pensare alla morte come esaurimento – non comunico più un valido pensiero, e non ghiande, e non rose – non dà la benché minima inquietudine. Se mai, la lieve gioia di ritornare alla Terra. Madre e anima.

“Etico e sociale sono sinonimi”

Amici di Libera – delle due Libera – ho dovuto passare la soglia dei 77 anni (sto percorrendo il settantottesimo) per accorgermi dell'assoluta sinonimia, anzi, l'identità di due aggettivi: etico e sociale.
Dice il Grande Dizionario della Lingua Italiana: “L'etica è la scienza della condotta umana, intesa come dottrina del fine a cui tende il comportamento e dei mezzi atti a raggiungere tale fine, o come ricerca del movente della condotta stessa (e mira alla definizione della nozione di bene, ravvisato nella felicità, nel piacere, nell'utile, nell'amore)”.
Si dice sociale – in un sistema culturale bene determinato – ciò che agisce ed esprime compiutamente se stesso e l'altro, alla fin fine il bene, la felicità, il piacere, l'utile e l'amore proprio e dell'altro, all'interno di una socialità compiuta.
Ragionateci, amici: etico e sociale sono sinonimi con una compenetrazione esaltante.
Avviene così che uomini di immensa bontà e intelligenza, militino in campi avversi. Molti uomini di immensa bontà e intelligenza, credono ancora – e ci pare tanto assurdo da poterli ritenere colpevoli – nelle verità rivelate, diverse di luogo in luogo. Sino a far temere il ritorno di un nazismo, proprio per le ragioni contro ogni ragione della fede.
Non è uno scandalo ch'io ripeta: se papa Wojtila – meno santo di papa Giovanni, ma certo d'eccelsa forza e intelligenza – fosse nato, anziché in una famiglia cattolica di Polonia, in una famiglia musulmana dell'Iran, avrebbe avuto una fede altrettanto assurda e incrollabile nella verità rivelata da Maometto.
Ripeto: etico e sociale sono sinonimi. Per maledizioni millenarie, in questo concetto è stata introdotta, sino a divenire dominante, la necessità di una fede. Affermiamo l'esatto contrario. È l'unica via per giungere alla cancellazione dei delitti di ogni tipo, sollecitati da “verità” che sono, quando non imposture, interpretazioni eccessive, a volte sino al fanatismo ed alla persecuzione, di testi e saggi profetizzanti e “poetici”. Ne hanno preso l'effettiva gestione i peggiori: i politici, i militari e i finanzieri.
Le guerre, le violenze, le tragedie continueranno sino a che esisteranno fedi che non siano la sola fede dell'uomo per l'uomo.

L'unica fede è dell'uomo per l'uomo

Abbiamo in noi, ciascuno – come ogni altro animale e come gli altri organismi viventi – le nostre capacità e possibilità. È a queste che dobbiamo richiamarci, momento per momento, per arrivare alla consapevolezza, alla tolleranza, alla non violenza e alla pace. La consapevolezza soprattutto della vita, solo materiale, il che non toglie, anzi moltiplica, il dovere dell'etica e della socialità.
L'anticlericalismo rinasce, purtroppo, dalla sempre più pesante presa di possesso nel campo economico e mediatico degli uomini peggiori “di fede”, stato via stato, nazione via nazione. Uomini di fede, e proprio perciò giustificati ad imporre la propria.
È banale citare il fatto incontrovertibile che nella nostra Italia tutti i mezzi di comunicazione – tutti senza esclusione alcuna – aumentino gli spazi dedicati alle religioni; com'è logico, in particolare cattolica o cristiana.
Meno banale, anzi funesto sino a far temere la fine della Terra (la Terra è l'anima) per eventi sempre più continui e catastrofici nati dalle fedi ed attuati da chi ne trae macabri profitti.

Luigi Veronelli

da “A” 293 - ottobre 2003



Propongo una lista

di Luigi Veronelli

Il cambiamento può avvenire tramite il voto, sostiene Veronelli, che si esprime contro l'assenza degli anarchici dalle istituzioni pubbliche. Ma tra gli anarchici non pochi pensano che “se la sia bevuta”

Il 5-6-7 dicembre, Fiera dei Particolari. La mia idea ha trovato subito accoglienza dai ragazzi – per me lo sono – del Leoncavallo che ha posizione e strutture in Milano tali da poter accogliere i “miei” vignaioli.
So per esperienza quasi sessantennale del dissidio singolare che nasce per una sorte inesplicabile di spontaneità, in ogni persona che ha scelto, o comunque si obbliga a scegliere, il percorso personale verso il massimo possibile di libertà.
Dovrebbe subito conseguirne – questo sì in modo del tutto chiaro e spontaneo – la considerazione che il massimo possibile di libertà proprio coincide con il massimo possibile di libertà dell'altro.
L'ho sentito asserire, innumerevoli volte, dagli uomini della sinistra. Purtroppo, pressoché subito, si smentivano con avversioni imbarazzanti, ripetute, infinite. Prese di posizione e di contrasto, dannosissime, con ogni iniziativa di “quell'altro”, anche se a conoscenza della sua volontà di favorire, comunque, la sinistra.
Di politica so nulla di nulla. Al termine della guerra che non ho fatto per la giovane età (nel 1944 sino a mezzo 1945 sono stato internato in un campo di lavoro della vicina Svizzera in cui avevo trovato rifugio) ho frequentato ogni luogo in cui presupponevo di apprendere politica, con varie esperienze di cui la più importante, dal '56, “I Problemi del Socialismo” editi con Lelio Basso. Ne uscii nel 1959, dopo un congresso in Napoli che aveva visto la vittoria di un Nenni che considerava compagno il giovanissimo Craxi.
Da allora sono tornato a riferirmi – quanto a politica, dico – alle parole delle lezioni ultime (debbo credere) tenute da Benedetto Croce in Milano nel palazzotto liberale di Corso Venezia, proprio di fronte ai Giardini Pubblici.
Ci aveva insegnato, con espressioni di notevole impegno e facilissima comprensione, essere l'anarchia – pura, armonica e razionale – il punto d'arrivo definitivo e finalmente gioioso del lungo percorso umano.
Contraddiceva i teorici dell'anarchismo sui tempi. All'anarchia – pura, armonica e razionale – si sarebbe potuti arrivare dopo altri millenni di oppressione statale.
Semplice, vero? La mia politica è tutta lì, con una convinzione: i mutamenti avvenuti con la fine del secondo millennio, per merito (sì merito) della globalizzazione – per cui non ho mai scritto no-global ma new-global – hanno abbreviato i tempi dell'evenienza anarchica. Saranno meno – io mi auguro, molto meno – di millenni per giungere a quella che è un'utopia. Vivan las utopias.

Luigi Veronelli (Milano, 1926 - Bergamo, 2004)
Per il progresso e la liberazione umana

Mi sono comportato, in ogni congiuntura ritenuta importante, in modo da favorire la liberazione.
Certo, a volte ho sbagliato – faccio esempio nella scelta del voto per un partito politico – mai, proprio mai, con la volontà di sbagliare. Ho sempre considerato le opinioni degli altri che si dichiaravano, anche, per la liberazione (esclusi quindi, a priori, i fascisti e gli stalinisti) degne d'interesse e di discussione. Più ancora, degne d'appoggio e d'aiuto anche se, in qualche misura, in contrasto o quantomeno in sospensione, rispetto all'anarchia (o, più modesto, rispetto al mio pensiero di ciò che è o non è a favore dell'anarchia).
Ecco allora, in particolare, la mia adesione a ciascuna delle iniziative tese a soddisfare il progresso, appunto della liberazione umana: circoli sociali, centri anarchici, volontariato anche se “marcato” da fedi religiose, accoglienza immigrati, quant'altro.
Ed ecco il mio convincimento – contro la decisione così dannosa da parte dei dirigenti dei movimenti anarchici di un distacco completo dal mondo politico e dalle sue evenienze – di avere il maggior rapporto – ripeto: fatta esclusione per fascisti e per stalinisti – con ogni parte, così da portare avanti con discussioni dialettiche i problemi, anziché bloccarli, sino agli episodi, purtroppo a volte violenti, di ostilità. La società la cambi se la vivi, se ci sei dentro, se puoi operare con trattative continue all'inizio per un mutamento sino – non ti spaventi il termine – all'eversione. Non ha nulla di antidemocratico. Quando condivisa dalla stragrande maggioranza della popolazione, è l'apice della democrazia.
Proprio nel ricordo delle parole di Benedetto Croce, la conferma del massimo errore commesso dai teorici dell'anarchismo, del socialismo e del comunismo. Per più di due secoli, tutto l'ottocento e tutto il novecento, hanno teso a valorizzare le invenzioni della scienza per una non meglio identificata modernizzazione, anche a danno di ciò che era stato, nei millenni, a vantaggio dell'uomo, l'agricoltura e l'artigianato in primis. Ho già dichiarato la mia debolezza nell'argomentare di politica – e più ancora nel farla – ma sino a oggi non ho avuto seria contrapposizione al mio ripetuto assunto essere stato il massimo degli errori l'ostacolo determinante ad un reale progresso.

No al degrado e all'omologazione

Se vogliamo andare molto, molto avanti, dobbiamo tornare un passo indietro. Ho scritto e scrivo dei prodotti della terra non solo perché necessari alla sopravvivenza, soprattutto perché esemplari di come un uomo capace possa vivere, e far vivere i propri familiari, in condizioni di benessere. I prodotti – sostengo anche quelli dei luoghi più ostili, per la durezza delle condizioni ambientali – se portati a compimento nella loro terra, assumono in sé e per sé, a causa dell'inimitabilità, valori alti, che trovano collocazione ed acquisto alla sola condizione che siano proposti. Proprio da ciò scende l'affermazione: le aziende agricole “industriali”, quelle che hanno puntato anziché sui contadini, sui mezzi, non hanno, nei fatti, ragione di esistere. Il mezzo, qualsiasi mezzo, che non abbia l'assistenza fisica e intellettuale del singolo uomo, contadino, esperto, porta a un degrado, se non a un degrado, ad un'omologazione in qualche modo dannosa.
Lo stesso, identico, per ciò che riguarda la trasformazione dei prodotti della terra. L'industria alimentare è un controsenso da che porta alla pressoché immediata decadenza delle valenze naturali. A parte il fatto che un'industria, per definizione, non può non tendere al profitto senza il purché minimo cedimento a ciò che è “sentimentale”. Il contadino e l'artigiano, mettono certo in conto il profitto, senza il quale non avrebbero la possibilità di vivere e far vivere, ma ci aggiungono sempre, per ragioni storiche e culturali, inalienabili contro ogni tentativo, la volontà del ben eseguito e del coinvolgimento appunto sentimentale.
Qui, da noi, può sembrare ch'io sia l'inventore o lo scopritore – fai tu – di una via nuova per la liberazione dell'uomo. Mi piace contraddirlo. I contadini del Chiapas, proprio con la Via Campesina, mi hanno, ci hanno, preceduto, con pene e sacrifici inenarrabili. I risultati migliori li hanno ottenuti, li stanno ottenendo, con l'instaurazione di trattative e quindi con la rinuncia al solo mezzo delle armi, con le quali avrebbero corso il rischio – io penso la certezza – dello sterminio e dell'estinzione.
Sono le trattative – intransigenti nei luoghi in cui l'intransigenza è necessaria – con le autorità a portare attraverso modificazioni continue delle leggi, prima al miglioramento della situazione sociale, poi all'eversione senza violenze di cui non abbiamo paura. Anzi e meglio: di cui nessuno deve e può avere paura.
Io mi auguro che la Fiera dei Particolari milanese – nata sul successo clamoroso di Terra e Libertà/Critical Wine veronese – inneschi una serie di manifestazioni in ogni città italiana che dimostri agli ignari come sia iniziato il terzo millennio, da cui l'uomo cosciente e rispettoso della libertà propria ed altrui, si attende l'anarchia pura, armonica e razionale.

Un gesto eversivo dei mercati sociali

I mercati che verranno ad aprirsi – con la messa in evidenza: dei prodotti contadini e artigianali protetti dalle Denominazioni d'origine Comunale, garantite da Sindaci che debbono essere autorità amministrative e non politiche (non mi stancherò mai di ripetere l'affermazione di Brunetto Latini, scrittore fiorentino del '200 di cui Dante riconosceva la maestria «Le uniche autorità cui è dovuto rispetto sono la madre, il padre e il comune»; ove per comune era certo intesa la comunità) – avranno condizioni di favore esponenziale nei confronti di ogni altro ed in primis dei supermercati delle multinazionali, con vantaggi appunto esponenziali a favore dei contadini, degli artigiani e dei cittadini. Soprattutto per la riduzione massiccia dei prezzi dovuta alla pressoché totale scomparsa dell'intermediazione.
I politici – all'inizio entusiasti della mia proposta 1999 per una legge d'iniziativa popolare che imponesse le De. Co. – hanno tradito proprio nel momento (ma forse scriverei meglio proprio per il momento) in cui la legge costituzionale n. 3 del 2001 ha nei fatti anticipato la necessità dell'iniziativa popolare col passaggio del potere di legislazione (e di modifica della legislazione) dallo Stato – non alle Regioni, non alle Province – diretto al Comune; si sono infatti accorti che quella legge, in quel dispositivo, era anarchica (s'indigni pure chi pensa che legge e anarchia siano in contrasto; o meglio legga Reclus).
Il successo – sono disposto a scommettere – clamoroso ed eversore dei mercati sociali, proposti in ogni città, convincerà – ed è proprio l'ora– gli anarchici ad abbandonare l'assenza nelle istituzioni e quindi anche dal voto.
Propongo infatti, da cittadino e non da politico, che già nelle prossime elezioni europee siano presenti liste con simbolo non equivoco di centri sociali, cui concorrano solo gli appartenenti in giovane età dei centri sociali appunto, dei circoli anarchici, del volontariato e delle associazioni di immigrati.
Per quanto scandalo possa aggiungere, fu interdizione – ahinoi, intelligente – da parte dei conservatori più maliziosi, l'aver convinto: sarebbe stato meglio, in base alle loro teorie, che gli anarchici fossero assenti dalle elezioni. Io – che non farò mai parte di una lista per la sola ragione dell'età – dichiaro: fu vero e proprio autolesionismo; ci è costato troppo caro.

Luigi Veronelli

da “A” 295 - dicembre 2003 - gennaio 2004



Riprendiamo questa inconsueta testimonianza,
d'accordo con l'autore, dalla rivista enogastronomica “Ex Vinis”, diretta ed edita appunto da Veronelli.


Un incontro inatteso

di Luigi Veronelli

Cronaca dell'”incontro impossibile” tra Veronelli e Gaetano Bresci. Sull'isola di Ventotene, nel 1964

Molti dei miei lettori – molti? Pressoché tutti – si meravigliano delle mie cavalcate (cavalcate fuori argomento). “Ex Vinis” è il titolo; solo di vini dovrei scrivere e per estensione, di cibi e di turismo. Considero d'obbligo giustificarmi. Scrivo di vini, di cibi e di turismo, alla continua «presenza» dell'uomo. Non rimpiango affatto di aver abbandonato – 1956, o giù di lì – l'intrapresa via della speculazione filosofica. Non ho rimpianto da che so che non ne sarei stato capace; che mi sarei fermato – così come, alla fin fine, è avvenuto – al primo intoppo. [...]. Mi sono occupato, di contro, nel modo più completo e professionale di editoria. I primi volumi furono di filosofia e di lettere; poi...poi mi accorsi che non ero imprenditore – economico, dico – e che mi sarebbe convenuto applicarmi a quel che mi riusciva meglio: l'assaggio dei cibi e dei vini e il loro racconto. Cibi e vini che riguardano in modo diretto, in modo più diretto che ogni altro argomento, l'uomo e la vita.
Credo – da quegli anni cinquanta – che vi sia una chiave reale, per una sorte felice dell'uomo, per una sua vita migliore. Quella chiave bene si esprime in due parole: la libertà dell'altro. Questa, solo questa, è la ragione per cui non mi sembra di staccarmi da quel mio titolo, “Ex Vinis”, quando non scrivo, puntuale, di vini di cibi e di turismo.
Ciascuno degli elementi di quel viaggio è sempre un gioco, sempre rispettato. Sì, anche ora che mi decido, finalmente, a raccontarti – amico lettor mio, amica mia paritaria – di una vicenda in Santo Stefano, uno scoglio più che un isolotto, pressoché sconosciuto, proprio di fronte a Ventotene, isola grande.

Veronelli tra i ragazzi di un Critical Wine
L'antica Pandataria Stassentire

Ventotene – per quelli della mia generazione, che uscivano dall'orrifico fascismo (all'inizio della seconda guerra mondiale avevo 14 anni) – non era il luogo di varie attrattive che è oggi. Isola del mar Tirreno che appartiene (con l'isolotto di Santo Stefano) al gruppo più orientale dell'arcipelago delle isole Pontine.
Anticamente era chiamata Pandataria e vi furono deportati molti illustri esponenti dell'aristocrazia romana e, addirittura, delle famiglie imperiali come Giulia, Ottavia e Agrippina Maggiore.
Settembre 1964. Mario D'Ambra, allora l'indiscutibile, reale promoter della vitivinicultura campana (i suoi vini d'Ischia – Biancolella, Forrastera e Per'e Palummo, erano i soli ad aver campo nei ristoranti d'Italia tutta), aveva invitato me e i miei familiari, Maria Teresa, moglie, Benedetta, Chiara e Lucia, figlie, per una vacanza in quello scoglio a lui caro per la sconvolgente bellezza dei luoghi, la solitudine e la caccia alle beccacce e ai beccaccini. Fossi saggio, avrei tenuto un diario. D'estremo interesse per le tante «avventure». Sì, s'era soli. Allo sbarco, in una cala minima e rocciosa, aperta al mare mosso (si saltò, letterale, dal barcone che ci aveva prelevati in Ventotene, su uno scoglio, bagnato viscido, noi e le valigie), ci accolse un contadino e la sua mula.
Lungo un viottolo, quasi sempre a picco sull'onde, carica, stracarica la mula, giungemmo all'unica costruzione – aveva un non so che di spagnolesco – ove ci accolse Mario. Era stata, ci disse, la casa fuori del Penitenziario che si ergeva sul culmine dello scoglio, imponente e tetro. Già allora il sinistro luogo di pena era stato spogliato di tutto, proprio tutto, sino a scardinare gli infissi, gli impianti igienici, le tubature, i cancelli, le barre, quant'altro. Era ancor più sinistro di quel che doveva già essere negli anni in cui ospitava gli sciagurati, sventurati, derelitti.

Veronelli tra i ragazzi di un Critical Wine
Condanna a morte

Penitenziario, per i condannati a vita. L'ergastolo. Nessuna volontà di redimere. Solo persecuzione e pena. Sì, quel mancato diario. Dell'avventure – tante, gioiose – ne racconto una sola, tristissima.
Ho camminato i lunghi corridoi e le celle; ho sostato – si arrovesciava il cuore – nelle «gabbie» di rigore, un metro e mezzo, per un metro e mezzo, per un metro e mezzo, sottosuolo. Chi v'era rinchiuso non poteva stare eretto. Sapevo della lunga detenzione, in quelle celle, cui era stato costretto Gaetano Bresci, il giovane atleta, giunto di lontano, per attentare e uccidere, 29 luglio 1900, re Umberto I. Lo aveva fatto. E oggi ci si rende ben conto: aveva sbagliato.
Oggi. Era venuto d'America, sdegnato per le repressioni vili e sanguinarie, fine 1800 e convinto, allora, che uccidere un re, colpevole verso l'umanità, fosse un atto risolutivo.
Fu rinchiuso in una delle gabbie, sottosuolo, in Santo Stefano.
Se la cammini, l'isola, anche nei luoghi più incantati per l'ardire senza eguali della bellezza, appena ti estranei, senti voci non solo del vento. Ti raccontano le persecuzioni di cui fu oggetto, in quelle gabbie, un metro e mezzo, per un metro e mezzo, per un metro e mezzo.
Gaetano visse da uomo libero.
Non rinnegò la sua idea. Non ottenne un metro, per un metro, per un metro, di più. Non ergastolo. Fu condanna alla morte. Morì pesto e battuto nella carne (la sua anima non poteva essere battuta, pestata, offesa, era l'Anima), dieci mesi dopo, 22 maggio 1901.
Maria Teresa e le figlie, in quel periodo tra i più belli della nostra vita, una volta sola si accorsero del mio turbamento.
Quando entrammo nel minimo cimitero, infoibato tra le rocce (ti voltavi ed era un paradiso: il mare e un po' decentrata, l'isola di Ventotene), una frase all'ingresso: «Qui finisce la giustizia degli uomini. Qui comincia la giustizia di Dio», minime croci di ferro arrugginito e dei cartigli ai piedi. Là, proprio là, il cartiglio di Gaetano Bresci.
Piangevo, va da sé; Maria Teresa mi guardava commossa. Mi prese la mano. Sorprese le bimbe e ammutolite.
Trascrissi, a uno a uno i nomi dei cartigli:

entrando a sinistra:
Montalbano G. 15.4.1906/11.7.1959
De Roma Francesco 15.2.1945
Donatangelo Pasquale 13.9.1954
Durante Felice 14.3.1944
Lai Salvatore 28.9.1931
Entrelli Rocco 16.8.1950
Mediati o Mediali Rocco 26.2.1952
Imbrindo Domenico 9.7.1950
Iacono Lucio 21.2.1940
Forte Michele 24.9.1945
De Rocca Salvatore 26.5.1949
Toscailli o Roscailli Benedetto 6.12.1943
distrutta
Giorgi Luigi 27.6.1914
distrutta

entrando da destra:
distrutta
Lota Kasem 16.2.1945
Dosko o Posko Nazir 9.6.1945
Ussello Giuseppe 15.5.1945
Galdi Giuseppe 16.5.1938
Nangini Guido 28.10.1946
Saracco Natale 29.5.1926
distrutta
Di Benedetto Vincenzo 19.11.1918
Sacchi Luigi 20.9.1917
Carota Antonio 25.4.1915
Reda o Beda Giuseppe 9.10.1915
Si scendono 3 gradini a destra
Pilia Benigno 19.2.1923/22.7.1962
Di Santo Rufino 11.6.1888/12.5.1957
Bresci Gaetano 22.5.1901
Messina Pietro 27.8.1908/26.4.1962
Lizio Rossano 17.1.1904
De Cuzei Giuseppe 12.6.1904
Pannuccio Antonio 25.9.1904
Monte Gaetano 3.5.1904
Biase Donadio 18.2.1904
Gemina (?) Domenico 30.10.1904

si scendono 3 gradini a sinistra:
distrutta
Baetta Filadelfo 30.3.1909 ?
Rodessi Giovanni 14.6.1909
Fissore Giuseppe 31.1.1909
Tupponi Sebastiano 30.3.1908
Lai Antioco 29.6.1908
Baches Raffaele 7.11.1906

Quante volte mi sono chiesto: sarebbe stato giusto confidare prima questa mia scoperta? Come sarà, oggi, quel desolato luogo? Avrei dovuto – avrei voluto – divenisse meta di un pellegrinaggio mio – mio, solo mio – annuale.
Fare di quel luogo la mia Mecca. Non ci sono mai tornato. Questo non ritorno pesa, sull'animo mio, come un macigno.

Luigi Veronelli

tratto dal “Bollettino n. 16”, dicembre 2000, del Centro Studi Libertari di Milano

Le foto che illustrano questo dossier sono state scattate presso Il Centro sociale “La Chimica” di Verona. Si ringrazia per la collaborazione Simonetta Lorigliola, responsabile informazione del CTM Altromercato di Verona.

da “A” 308 - maggio 2005

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